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01/09/2008 
Blasco, su catalanu chi bolet partzire sa Sardigna in duos
[de Roberto Bolognesi]

Evidentemente è stato proprio il caldo torrido di questi giorni.
Non si spiega diversamente l’intervento del Professor Blasco Ferrer sull’Unione Sarda del 12 agosto scorso, in cui afferna che la LSC “immette arbitrariamente nel modello elevato a “standard” soluzioni logudoresi, insieme a una spicciolata di esiti campidanesi e ad alcune forme prelevate da parlate intermedie.”


Forse Blasco ha dimenticato di aver proposto, durante i lavori della prima commissione per la limba, il sardo di Norbello come standard. Oppure non sa che la LSC mostra, in base all’analisi computazionale che ho effettuato, una distanza dal sardo di Abbasanta pari al 9,97%. Cioè, l’abbasantese e la LSC sono identici per oltre il 90%.
Ora Abbasanta e Norbello sono a meno di un passo di distanza: questi due comuni formano con Ghilarza un unico agglomerato urbano. Anche ammettendo che vi siano delle differenze tra l’abbasantese e il norbellese, siamo lì. Anzi è possibile perfino che il sardo di Norbello sia leggermente più simile alla LSC di quello di Abbasanta.


Ma è anche possibile che il Professore non conosca la mia ricerca. In questo caso lo invito a consultarla: http://www.regione.sardegna.it/documenti/1_4_20070510134325.pdf
Certo che, però, sarebbe strano se un docente di linguistica sarda non conoscesse la mia ricerca: infatti è pubblicata sul sito ufficiale della R.A.S., come si può vedere dall’indirizzo web. Fra l’altro, una versione ridotta della ricerca sta per essere pubblicata dall’Universitat de Girona, fra gli atti di un congresso che si è svolto a febbraio.
Ma la cosa ancora più strana è che Blasco sembra ignorare anche tutto il dibattito che si è svolto sui mass media a partire dalla presentazione a Paulilatino della mia ricerca.


Ma sí, ripetiamo pure cose già dette e ridette...
La LSC è uguale al sardo di Abbasanta per il 90,03% e mostra una distanza media del 20,09% dall’insieme dei dialetti sardi tradizionali. Il dialetto più centrale, quello di Atzara, mostra una distanza media dagli altri dialetti del 19,24%.
Cosa ci dicono questi dati? Che la LSC da un lato coincide quasi con un dialetto tradizionale —è “naturale” per il 90,03%, per usare un termine improprio, ma comprensibile— e contemporaneamente è la varietà del sardo più centrale dopo quella di Atzara: non a caso Atzara è anche il centro geografico della Sardegna.
A chi dovesse obiettare che la “naturalezza” della LSC non è totale, basta ricordare che neanche l’italiano coincide perfettamente con il fiorentino. Anche un bambino si rende conto delle grandi differenze che esistono tra la pronuncia, la sintassi e la morfologia e perfino il lessico del fiorentino e dell’italiano standard. 
A questo poi va aggiunto che in realtà, oltre a un numero ristretto di professionisti, praticamente nessuno parla l’italiano standard! Tutti, noi sardi per primi, parliamo un italiano regionale, spesso molto distante dallo standard.
La LSC è una variante del sardo di “mesania”: varietà esistente, di confine se vogliamo, e costituisce un ponte naturale tra dialetti meridionali e settentrionali, come appunto lo stesso Blasco, proponendo il sardo di Norbello, aveva a suo tempo riconosciuto.
Colpisce poi nell’intervento di Blasco questo suo battere sulla divisione dei sardi: divisione che sarebbe nata al tempo dell’invasione romana e si sarebbe rafforzata in seguito.


La scoperta di questa divisione sarebbe dovuta al Wagner e sarebbe stata annunciata nel 1928.
Rispetto a questa presunta divisione c’è da dire soltanto che la romanizzazione, non solo linguistica, della Sardegna è stata totale. La teoria di Wagner reggerebbe se sulle montagne dell’interno fossero sopravissute delle isole pre-latine, come nei paesi baschi. 
Fermatevi a pensare un attimo: per imparare una lingua (in questo caso il latino) bisogna volerla imparare e bisogna anche avere l’opportunità di impararla. Evidentemente i sardi dell’interno hanno voluto e potuto imparare il latino. Da chi l’hanno imparato? Dai Romani o dai Sardi romanizzati: non si scappa! Non c’erano corsi di latino per corrispondenza. 
E i rapporti tra chi parlava il latino e chi lo voleva imparare erano evidentemente talmente intensi da permettere a questi ultimi di apprendere la nuova lingua.


Wagner si è immaginato una storia della Sardegna compatibile con i suoi pregiudizi anche razziali nei confronti dei sardi meridionali. Basta leggersi il brano di Das Nuorese. Ein reisbild aus Sardinien, pubblicato da Giulio Paulis nella sua introduzione alla Vita rustica dello stesso Wagner. Il brano è stato scritto nel 1908, dopo il primo viaggio di Wagner in Sardegna, cioè ben prima che lo studioso potesse conoscere la Sardegna, se non superficialmente: “Il Sardo dei monti è un tipo del tutto diverso dal suo fratello della pianura. Mentre questo è di statura piccola, colorito pallido, carattere servile e tradisce chiaramente l’impronta spagnola, il Sardo delle montagne è alto, il sangue gli si gonfia e ribolle nelle vene. È attaccato alla sua vita libera e indomita a contatto con la natura selvaggia. Egli disprezza il Sardo del Meridione, il ‘Maureddu’, come nel Nuorese vengono chiamati gli abitanti della pianura. È fuori di dubbio che in queste montagne l’antica razza sarda si sia conservata molto più pura che nella pianura, continuamente sommersa dai nuovi invasori.”


Per tutto il resto della sua lunga carriera, Wagner ha lavorato per dare una giustificazione pseudo-scientifica ai suoi pregiudizi sui sardi.
Le Lannou—un vero grande!—ha invece decisamente escluso che la Sardegna, dopo la romanizzazione, sia stata invasa in modo massiccio da altri popoli che avrebbero, secondo i wagneriani, prodotto la “frammentazione dialettale” del sardo.
Del resto, la mia analisi computazionale del rapporto tra dialetti sardi e lingue politicamente dominanti succedutesi in Sardegna, pubblicata nel 2005, esclude qualsiasi influenza di queste lingue sui dialetti sardi che vada oltre il prestito lessicale, e anche questo in percentuali bassissime (0,5% per quanto riguarda il catalano).


Infatti, che il sardo non sia divisibile in due varietà, lo dimostra anche il lavoro impressionante condotto dal fonetista sardo-francese Michel Contini. Nel suo studio di Geographie Phonetique, pubblicato nel 1987, Contini mostra chiaramente che non è possibile tracciare un confine netto tra varietà settentrionali e meridionali del sardo.
Mentre esistono chiari fasci di isoglosse tra le varietà “logudoresi” e “nuoresi”, non se ne trova traccia tra queste varietà settentrionali e quelle meridionali: le isoglosse procedono in modo caotico, soprattutto nella parte orientale dell’isola.
Come mostrano anche le mie analisi del 2005 e del 2007 la realtà dialettologica della Sardegna è costituita da un continuum di varietà che sfumano l’una nell’altra.


Quanto all’esistenza “storica” di due tradizioni grafiche, basta dire che queste tradizioni sono sempre state utilizzate da una minoranza piccolissima dei sardi. Dalla ricerca sociolinguistica coordinata dalla Professoressa Oppo risulta che al giorno d’oggi dichiarano di scrivere il sardo soltanto il 14% degli intervistati. In passato questa percentuale può essere stata soltanto più bassa, visto che, fino a pochi anni fa, le persone “studiate” non utilizzavano il sardo in situazioni formali. 
Ma tutto il succo dell’intervento di Blasco è contenuto nella frase seguente: “ La “natura bipolare” dello “standard sardo” era stata generata dalla storia, l’uomo non poteva cambiarla.”
Questa è una visione della storia molto, ma molto particolare: la storia come palla al piede.


Chi fa la storia se non l’uomo? E chi ha il diritto di cambiarla se non l’uomo?
E poi la storia è sempre meglio conoscerla prima di invocarla: “Il mondo della pastorizia si arrestava da sempre ai confini meridionali del vecchio Giudicato di Arborea, dove iniziava la cultura contadina.” Questo che Blasco afferma semplicemente non è vero!
Queste frasi esprimono allora soltanto la volontà del Professor Blasco Ferrer di costringere i sardi a “convivere con due realtà antropologiche, sociali, linguistiche, entro le quali ritrovavano la loro identità”.
Chi vuole dividere i sardi in due “nazioni”? Io no!

 



 
 
 

 

 
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