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29/11/2005 Lìbberos

Sas "lumeras" de Perdu Antoni Leo


COMUNICATO STAMPA

La CUEC Editrice e il Centro di Studi Filologici Sardi

invitano a partecipare

alla presentazione del libro


Pietro Antonio Leo
Di alcuni antichi pregiudizii
sulla così detta Sarda intemperie

a cura di Giuseppe Marci
presentazione di Alessandro Riva
e Giuseppe Dodero




e della collana
Scrittori Sardi / Testi e documenti

Intervengono:

Pasquale Mistretta
Rettore Università di Cagliari

Giuseppe Marci
Università di Cagliari
Direttore del Centro di Studi filologici sardi

Ester Gessa
Direttrice Biblioteca Universitaria di Cagliari

Alessandro Riva
Università di Cagliari,
Presidente Associazione Clemente Susini

Giuseppe Dodero
Medico igienista,
docente di Statistica sanitaria all’Università di Cagliari

Coordina:
Maurizio Virdis
Docente di Filologia romanza e Linguistica sarda
all’Università di Cagliari

Giovedì 1 dicembre 2005, ore 16.30
Aula Magna del Rettorato
Via Università, Cagliari

Il libro 
L’autore 

Pietro Antonio Leo, medico, professore di medicina nell’Università di Cagliari. "Nato ad Arbus il 2 aprile 1766 e morto a Parigi l’8 maggio 1805. Di famiglia contadina povera, lavorò in campagna sin dall’infanzia e solo più tardi poté apprendere i primi rudimenti del leggere e dello scrivere. Fuggito a Cagliari, entrò al servizio presso una famiglia signorile per poter continuare gli studi fino alla laurea in filosofia e medicina. Esercitò ad Arbus sinché vinse la cattedra di istruzioni mediche a Cagliari. Suo primo interesse fu di introdurre in Sardegna i progressi della scienza medica europea per cui entrò in contatto con diversi studiosi in Italia e all’estero; particolare attenzione dedicò allo studio della malaria (intemperie), alle ragioni della diffusione e ai metodi di cura. Morì a Parigi, dove si era recato per aggiornare la sua disciplina". (Isbes Catalogo)


L’opera

Pubblicata nel 1801 la Lezione fisico-medica intitolata Di alcuni antichi pregiudizii sulla così detta Sarda intemperie e sulla malattia conosciuta con questo nome costituisce un’importante testimonianza della volontà di rinnovare gli studi medici. L’autore, per combattere la battaglia contro i pregiudizi e contro i medici servili "insensibili alle voci della ragione ed alla luce dell’evidenza", si rivolge "agli ornatissimi scolari" dell’Università di Cagliari e spiega che "infiniti sono, e sommamente oltraggiosi alla ragione, ed al buon senso i medici pregiudizii, che nati ne’ secoli della barbarie, fomentati in progresso dalla ignoranza, e ciecamente seguiti dalla servile credulità del volgo, regnano tuttora nella nostra Sardegna a danno incalcolabile della popolazione, e della sanità, e delle vite de’ nostri concittadini".

È un’opera nata nella temperie culturale del diciottesimo secolo, quando è "ripresa la libertà di pensare, di vedere e d’interrogare la natura per via d’esperimenti".




Brani dalla Lezione fisico-medica:

"Infiniti sono, studiosissimi Giovani, e sommamente oltraggiosi alla ragione, ed al buon senso i medici pregiudizii, che nati ne’ secoli della barbarie, fomentati in progresso dalla ignoranza, e ciecamente seguiti dalla servile credulità del volgo, regnano tuttora nella nostra Sardegna a danno incalcolabile della popolazione, e della sanità, e delle vite de’ nostri concittadini"[…]

Volle la sorte, che recatomi nel continente d’Italia coll’unica mira di dirozzarmi nella medicina e sue scienze ausiliari, abbia per lo spazio di tre anni in circa avuto tutto l’agio possibile di vedere grandi e popolati ospedali, di farvi delle replicate osservazioni per quattro intere stagioni autunnali, di conferire con professori insigni pel loro fino discernimento, e sperimentata dottrina nella clinica medica. Fu questa l’epoca per me fortunata, in cui, oltre molti altri pregiudizii, che mi guastavano lo spirito, deposi anche quello, che ripeter mi faceva da vizio dell’aria tutte quasi le febbri autunnali. E qual uomo per tenace che fosse ed ostinato nelle sue false concepute idee, non l’avrebbe mai deposto, veggendo migliaia di persone abitanti di terre, che godono del clima più temperato, e d’un’aria affatto priva di velenate esalazioni paludose; veggendo io ripeto queste persone senz’aver quasi mai abbandonati i propri focolari, languire pur nondimeno miseramente in letto per le stesse stessissime malattie febbrili sì continue che intermittenti, che dominano pure presso di noi nell’autunno e che io avevo per l’addietro conosciuto per febbri d’intemperie? Lo spedale di Pisa, quello di Santa Maria Nuova a Firenze; altri di Bologna, di Milano, di Torino, di Genova furono i tragici teatri di mie osservazioni. Io ebbi la sofferenza d’investigare minutamente le circostanze precedenti e concomitanti di tali malattie, di sentire i pareri e le decisioni de’ valenti professori che vi assistevano, e fatto quindi un calcolo rigoroso, dovetti conchiudere, che a mala pena una decima parte di quei miserabili febbricitanti avevano respirato aria sospetta, e che quasi in tutti avevano porto occasione al loro male i testé accennati abusi".


Dall’Introduzione di Giuseppe Marci

"Nell’elenco degli scrittori sardi elaborato dall’Istituto Bibliografico Editoriale Sardo (Isbes) compariva il nome di Pietro Antonio Leo, estraneo, così di primo acchito mi sembrava, rispetto a quelli degli scrittori e dei poeti verso i quali andava il mio interesse di uomo di lettere. Poi, leggendo le opere degli autori didascalici operanti nel Settecento, a poco a poco ho cominciato a vedere l’insieme che formavano, il sistema letterario che ne derivava e che aveva caratteristiche individuabili; "pur nella sua rusticità", come soleva dire Umberto Cardia.

Tra queste caratteristiche una reciprocità che in ben poche altre stagioni – e non solo in Sardegna – è dato trovare, un dialogare da un’opera all’altra, un intendersi, un ritrovarsi in una sorta di idem sentire alla cui base era anche legittimo cogliere una comune aspirazione politica autonomistica e di ispirazione sardista".






A segus