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23/11/2005 Séberos de sa Retza - L'Unione Sarda de 22.11.05

Sa fusione imperfeta intre Itàlia e Sardigna

di Salvatore Cubeddu


Pro sa de tres bias in unu séculu sos sardos sunt in cara a s'Itàlia. Sa "perfeta fusione" no at arresortu is problemas de s'ìsula. Nd'iaus a dépere discutire in d'un'assemblea costitudora, fuendo a sa tentatzione de nos fàere arruolare in batallas de alenu curtzu e chi no arresorvent sas chistiones nostras. 


La fusione imperfetta tra Italia e Sardegna
di Salvatore Cubeddu





L'Unione Sarda pagina 1

22 novembre 2005

Vertenza fiscale e devolution



Si può dire: «Siamo alle solite, i sardi difficilmente si presentano uniti di fronte ai governi!». Ma si può dire anche in altro

modo: «Per la terza volta, in quasi un secolo, i sardi sono di fronte all’Italia». Le virgolette, che individuano un saggio di Bellieni, sottolineano

la crucialità della situazione presente. Per tanti la questione dei nostri crediti nei confronti dello Stato non è puramente

amministrativa, ma politica (da trattare tra il presidente della regione ed il capo del governo) e istituzionale (se possiamo permettere

che lo Stato, non solo non finanzi la solidarietà promessa dall’articolo 13, ma si impossessi delle nostre tasse). Lo Statuto

sardo fa parte della Costituzione perché nel 1948 fu restituita alla Sardegna una parte della sovranità a cui il nostro Parlamento

di antico regime, gli Stamenti, aveva rinunciato nel famigerato 29 novembre 1847 (la “fusione perfetta”). Lo Statuto sardo

è un patto tra la Sardegna e l’Italia. E il patto suppone due contraenti in condizioni paritarie: i sardi (in questo caso qualifichiamoli

come crediamo: nazione, popolo, comunità; purché sia quella “cosa” in termini di sovranità) e lo Stato, cui noi partecipiamo

in maniera autonoma e originale. Le circostanze hanno voluto che il tema della nostra “autonomia economica” coincidesse con l’ap-

provazione della devolution da parte del Parlamento. Non essendo determinanti sul mutamento costituzionale italiano, ci

resta l’interrogativo che ci seguirà nei prossimi mesi: è conveniente, per l’autonomia della Sardegna, l’offerta di alcune potestà

esclusive alle regioni (istruzione, sanità, polizia locale), il rinnovo di un senato costituito sulla rappresentanza

territoriale, l’affidamento al premier di maggiori poteri? Non esiste una sola risposta, dato che le prime reazioni vedono

più critici che entusiasti parti significative dei commentatori, i vescovi, ovviamente l’opposizione parlamentare e, addirittura,

parte della stessa maggioranza. La costruzione di un giudizio che veda le cose da Cagliari, piuttosto che da Roma o da Milano,

potrebbe impostarsi a partire dalla lettura dei processi di fondo che hanno portato a tali indirizzi; sul fatto che le dinamiche economiche

e sociali hanno preceduto e già sopravanzato tali aspetti istituzionali; sull’evidenza che anche un referendum che bocciasse

il nuovo titolo II si ritroverebbe a dover offrire una costituzione veramente unitaria allo Stato italiano. Probabilmente promuovendo

un’assemblea costituente. Dovremo discuterne sfuggendo alla tentazione di farci arruolare in battaglie di breve

periodo e non risolutive dei nostri problemi. 




A segus