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22/11/2004 Legittimazione del Processo di Normalizzazione Linguistica in Sardegna

Politica linguistica, perchè?

de Enrico Chessa

Il momento sociolinguistico che vive oggi la Sardegna e' grave. Oserei dire di emergenza. Mancano studi esaustivi in merito, e' vero, ma da osservatore (attento) percepisco una situazione assai preoccupante. Se dovessi definirne i contorni, lo farei -molto sinteticamente- cosi': esistono due gruppi linguistici, uno bilingue (italiano/sardo) ed uno monolingue (italiano). Per l'assenza di condizioni che garantiscano una certa stabilita' sociolinguistica, pero', il gruppo bilingue tende ad assottigliarsi sempre piu' (soprattutto nelle zone costiere e nei centri di medie e grosse dimensioni), mentre aumenta considerevolmente il numero dei monolingui in italiano. E questo -ahime'- nonostante le leggi (regionale e statale) di tutela della lingua sarda.

Un referente legale avra' infatti un'importanza relativa, a meno che non diventi il supporto per un processo di Normalizzazione Linguistica organico. Non la copertura giuridica di episodi sporadici e isolati. La normalizzazione non e' altro che l'insieme di provvedimenti (non solo linguistici), tendenti a (ri)portare alla normalita' la lingua in recessione e, anche alla luce di altre realta' sociolinguistiche, sembra essere l'unica soluzione all'abbandono linguistico. Il nostro compito sara' quello di articolarla tenendo presente la specificita' sarda. Ben vengano, quindi, dibattiti e confronti sul tema.

Il punto e' pero' un altro. Mentre noi discutiamo su questioni tecniche (come impostare la normalizzazione, quale standard adottare, che norme ortografiche seguire, ecc.), qualcun'altro -giustamente- si chiede: perche' una Politica Linguistica? Per quali ragioni, cioe', intervenire per il recupero del sardo? Vale la pena, in definitiva, investire risorse pubbliche (una Politica Linguistica costa!) per un 'problema' (apparentemente) non prioritario? Tutte domande assolutamente giustificate alle quali, tutti assieme, dovremmo cercare di dare delle risposte esaustive per incoraggiare gli interventi e legittimare il processo di recupero della lingua sarda.

E la nostra attenzione sara' rivolta prevalentemente ai politici. La normalizzazione linguistica e' infatti una questione fondamentalmente politica! Senza un intervento istituzionale coraggioso, deciso, chiaro, serio e ben articolato le sorti dei sardi che parlano o vorrebbero parlare il sardo non cambierebbe granche', nonostante l'attivita' encomiabile di singoli e associazioni. Un gran numero di funzioni linguistiche indispensabili per la sopravvivenza di una lingua e' infatti controllato dall'Istituzione Pubblica. L'entita' pubblica -qualunque essa sia- puo' concedere o proibire alle lingue -direttamente o indirettamente- l'esercizio della maggior parte delle funzioni linguistiche pubbliche.

Rivendicare un intervento politico sulla questione linguistica e', quindi, inderogabile e le ragioni che avallano un processo di normalizzazione diverse, delle quali ne indico tre: una ragione politico-sociale, una filosofico-morale, ed una meramente pratica. Vediamole, in ordine, nei dettagli.

La sostituzione linguistica (l'abbandono di una lingua per un'altra) non e' altro che il risultato di un contatto tra due (o piu') varieta' linguistiche all'interno dello stesso territorio, il quale porta al conflitto prima e alla 'morte' di uno dei due codici poi. In se' e per se' pero' il contatto non e' un problema. Lo diventa nel caso in cui le varieta' in questione posseggano status diversi. In genere, infatti, una varieta' e' percepita -e di fatto lo e'- come utile, pratica, indispensabile per la crescita sociale ed economica, detentrice di importanti valori culturali e letterali, ecc. L'altra invece no. 

Tale confronto disuguale (che porta poi ad uno scontro impari) non nasce, come e' facile ipotizzare, dalla diversita' della struttura interna dei codici a contatto: non esistono lingue intrinsecamente migliori o peggiori. Chi determina la percezione delle lingue in termini di valori positivi o negativi e' invece la posizione politica, economica e sociale delle persone che, le lingue, le parlano. Prima che di contatto fra lingue sarebbe infatti piu' opportuno parlare di contatto fra gruppi di persone: generalmente, un gruppo dominante ed uno subordinato. Il primo detiene il potere, dal momento che i suoi componenti posseggono piu' risorse in termini di capitale -economico, sociale, simbolico, politico; il secondo, invece, di potere non ne possiede o lo condivide (in piccola parte) col gruppo dominante. Di conseguenza il gruppo subordinato -in genere una minoranza- e' un gruppo svantaggiato.

Nello specifico, i sardi siamo (storicamente) una minoranza demografica, subordinata politicamente e giuridicamente. Per usare un eufemismo: siamo una minoranza periferica da un punto di vista politico, sociale, economico, in rapporto col centro. Tale stato di cose ci ha fatto perdere autostima, fa crescere una sorta di autorazzismo e ci porta ad emulare (linguisticamente) il gruppo dominante. Il recupero del sardo diventa quindi non solo un doscorso linguistico ma soprattutto una rivendicazione sociale e politica. La lingua si trasforma cosi' in un mezzo per riappropriarci della nostra dignita' come popolo.

Non intervenire in favore dei sardi che parlano o vorrebbero parlare sardo significa quindi venire meno ad uno dei principi basilari del sardismo: la tutela del popolo sardo e la sua emancipazione. Nessun governante sardo puo' oggi esimersi da questo impegno, dal momento che il sardismo (in diverse forme e diversi colori) e' stato -molto trasversalmente- elemento portante della scorsa campagna elettorale (a meno che non si sia trattato di un "bluff" propagandistico).

Le ragioni filosofico-morali vanno invece ricercate nel liberalismo. Alla base del liberalismo c'e' la priorita' morale dell'individuo e tutti gli individui sono importanti in egual misura. Quindi, anche i sardi che parlano o vorrebbero parlare sardo dovrebbero essere trattati con la stessa preoccupazione e rispetto con cui vengono trattati i cittadini italofoni. Trattandosi tra l'altro di un gruppo minoritario (non per scelta ma per contingenze), per cui i suoi membri soffrono ed hanno frustrazioni, questi devono essere oggetto di attenzioni particolari da parte di chi li 'governa'. L'amministrazione pubblica dovra' dare loro cio' che invece ai membri del gruppo maggioritario e' gia' stato garantito. In definitiva, una amministrazione attenta dovra' farsi carico dello svantaggio di cui soffrono i membri del gruppo minoritario e (cercare di) annullarlo. La logica (della discriminazione positiva) e' la stessa che ha portato il Presidente Soru a privilegiare le donne in quanto parte di un gruppo svantaggiato.

Una Politica Linguistica, pero', puo' e deve anche apportare benefici concreti alla comunita'. Se l'amministrazione canalizzasse con attenzione le risorse a disposizione per le attivita' culturali una Politica Linguistica potrebbe creare occupazione e ricchezza. Pensiamo che una Politica Linguistica seria e ben articolata necessita di risorse umane -linguisti, sociolinguisti, statistici, sociologi, economisti, ecc. Se parte delle risorse economiche venissero dirottate verso una Politica Linguistica che investa in progetti dinamici, molti dei neolaureati in cerca di prima occupazione, per esempio, vi potrebbero essere impiegati.

In una fase iniziale, un progetto di Pianificazione Linguistica impegnera' parte dei fondi a disposizione per predisporre un Ufficio di Politica Linguistica e per la realizzazione di indagini sociolinguistiche. Il che comporterebbe l'impiego (sia a tempo completo che a tempo parziale) di tecnici provenienti da diversi settori: laureati in giurisprudenza per definirne gli aspetti legali; economisti per calcolarne attentamente costi e benefici; esperti in statistica per predisporre indagini conoscitive; nonche', ovviamente, linguisti, sociolinguisti, ecc 

Ma non solo, con l'andare del tempo e con il consolidarsi delle iniziative, infatti, la Politca Linguistica puo' trasformarsi in una vera e propria industria (il caso catalano insegna) che, potenzialmente, puo' mettere in movimento grandi quantita' di denaro (arrivando anche ad autofinanziarsi) e persone. Si pensi, per esempio, all'istituzione di scuole materne regionali, all'editoria in sardo, alla creazione di una televisione regionale di qualita', al dopiaggio di film, all'industria tipografica, ecc

I vantaggi sono, senza dubbio, molteplici: ci guadagneranno i sardi in generale perche' si aprirebbero prospettive occupazionali; ne trarranno benefici i sardi che parlano o vogliono parlare il sardo perche' verrebbero soddisfatte le loro richieste linguistiche; ne uscira' rafforzata la lingua sarda per il valore non solo simbolico ma anche pratico che ne deriverebbe; e ci guadagnera' il politico che avra' affrontato un problema di pochi, apparentemente non prioritario, trasformandolo in tornaconto per tutta la comunita'. Intervenire per far fronte all'emergenza lingua e' forse, politicamente, piu' conveniente che rimanere passivi di fronte al problema. L'importante e' che si intervenga in modo serio, organico, articolato e con criterio. Ma questo e' il tema di un altro intervento.

Enrico Chessa e.chessa@qmul.ac.uk

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