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12/05/2006 Sèberos de imprenta - Il manifesto 26.04.2006

<Sa limba sarda>, ma at a èssere s'autonomismu chi bisaiat Lussu?

de Antine Cossu 


da "il manifesto" del 26 Aprile 2006 
La legge di Soru, con un occhio alla Catalogna e uno all'europarlamento 
«Sa limba sarda», ma sarà l'autonomismo che sognava Lussu? 

I sardi potranno ora scrivere i loro atti in «limba sarda comuna». Ma verso quale autonomismo si muove il presidente della regione? Quello di Gramsci e Lussu, una leva per sradicare l'ordine sociale esistente, o quello moderato gestito per decenni dalla Dc? 
COSTANTINO COSSU 

«Siamo la minoranza linguistica più ampia d'Italia, però siamo l'unica che non aveva ancora scelto una sua lingua ufficiale. Con meno forza rispetto ad altri, quindi, abbiamo potuto reclamare la possibilità, offerta dalla legge elettorale per il Parlamento europeo, di avere in futuro un nostro rappresentante eletto». Così il presidente della Regione Sardegna, Renato Soru, ha giustificato la scelta di adottare, negli atti ufficiali della sua giunta, «sa limba sarda comuna». E' una «lingua bandiera», che somma una varietà di parlate tipiche del centro Sardegna (Barbagia), con aperture al «logudorese» (centro-nord dell'isola) e al «campidanese» (sud e Cagliaritano in particolare). «Sarà comprensibile a tutti», assicura il governatore, secondo il quale «è importante che la Regione possa produrre scritti in sardo per dare riscontro a ciò che impongono le leggi, nazionali ed europee, di tutela delle minoranze».
L'annuncio di Soru è arrivato, martedì della scorsa settimana, a pochi giorni dalla conclusione di una campagna elettorale che ha avuto, per le forze autonomistiche e indipendentistiche sarde, esiti disastrosi. Il Partito sardo d'azione, sigla storica dell'autonomismo, al Senato ha preso l'1,8 per cento dei voti; i due partiti indipendentisti, Indipendentzia pro sa repubrica sarda (IRS) e Sardigna Natzione, si sono fermati, rispettivamente, all'1,1 per cento e allo 0,9 per cento. Le due cose solo apparentemente sono in contraddizione. Alla debolezza dell'autonomismo e dell'indipendentismo nelle sue più o meno tradizionali espressioni politiche fa infatti da contrappeso un fiorire d'iniziative che, nel campo della cultura, della scuola e dell'editoria, segnalano una rinascita del movimento autonomistico. Rinascita intercettata e politicamente governata da Renato Soru.
Il tradizionale autonomismo sardo attraversa, insomma, una crisi profonda. In un mondo dove il ruolo degli stati nazionali cambia e si riduce, il tema della difesa delle minoranze etniche e linguistiche non può più essere affrontato secondo ottiche legate a schemi che hanno perso rilevanza storica e politica. La crisi, per il momento, sembra muoversi tra rischi d'involuzione e segnali d'apertura. Siamo ad un capitolo nuovo, ultimo di una lunga storia nella quale di capitoli se ne possono distinguere almeno altri tre, ripercorrendo i quali è possibile capire qual è il segno politico, sull'asse destra-sinistra, che ha la fase attuale.
L'autonomismo sardo nasce subito dopo la prima guerra mondiale con il movimento dei reduci. I soldati che nella Grande Guerra avevano combattuto ed erano morti a migliaia per la monarchia sabauda erano contadini poveri e braccianti; gli ufficiali provenivano da un ceto medio intellettuale per il quale l'incipiente avvento della società di massa significava perdita d'identità e di status sociale. Il Partito sardo d'azione nasce per iniziativa del più noto e prestigioso di questi ufficiali, Emilio Lussu. Per il comandante della Brigata Sassari la rivendicazione di una larga autonomia rispetto allo stato nazionale poggia su due pilastri: l'identità linguistica e culturale dei sardi e l'obiettivo di rompere il blocco storico conservatore sul quale, in Sardegna come nel resto del meridione d'Italia, la monarchia fondava il suo predominio. L'autonomismo di Lussu ha un forte segno politico progressivo. Anche se su un versante di democrazia radicale e non su un versante di classe, le sue riflessioni si muovono sulla stessa linea di quelle, più o meno contemporanee, di Antonio Gramsci sulla questione meridionale. Lussu è autonomista e repubblicano perché è contro l'alleanza tra grandi agrari e borghesia che mantiene la Sardegna al di qua della soglia della modernità. Lussu è autonomista perché ha come obiettivo la rottura del sistema economico e sociale che quell'alleanza garantisce e perpetua.
Dopo la lunga notte centralistica del fascismo, sulla questione delle autonomie regionali la montagna della Costituente partorisce quello che Lussu definì il «topolino dell' autonomia speciale», concessa alla Sicilia, alla Sardegna, alla Valle d'Aosta, al Trentino Alto Adige e al Friuli. E' un autonomismo in chiave moderata, gestito in Sardegna da una Democrazia cristiana che usa le leve del potere regionale per governare una modernizzazione che garantisce al partito cattolico un ruolo di mediazione tra società locale e stato, tutto speso in funzione conservatrice, lo stesso ruolo giocato dal vecchio notabilato prefascista. E' questo il secondo capitolo della storia dell'autonomismo sardo. Al quale segue, a partire dagli anni Ottanta, una terza fase in cui, con la crisi fiscale dello stato e le prime avvisaglie dell'offensiva neoliberista, l'autonomismo diventa il paravento dietro il quale quasi tutto il ceto politico sardo, trasversalmente, da destra a sinistra, si schiera in difesa dei flussi finanziari nazionali senza i quali il fragile sistema produttivo isolano rischia la paralisi e il sistema di equilibri sociali costruito dalla Democrazia cristiana nei decenni precedenti si dissolve. Sono gli anni in cui il Pci cede a un consociativismo che nulla ha di propulsivo. Energie progressive sono impegnate nella difesa di un equilibrio di potere che ha un inequivocabile segno moderato. E' un fase in cui il sistema politico regionale si arrocca, assumendo i connotati di un'autoreferenzialità all'interno della quale è impossibile perseguire qualsiasi progetto di mutamento.
La terza fase della storia dell'autonomismo sardo è chiusa dall'irrompere, anche in Sardegna, degli effetti della mondializzazione dell'economia e della crisi del ruolo di mediazione tra stato e società locale esercitata sino ad allora dall'amministrazione regionale. Tutti i paradigmi dell'autonomismo consociativo saltano. Una strategia che viveva di contrapposizione con lo stato e di confronto tra un centro oppressivo e burocratico e una società locale che chiedeva più poteri e più risorse finanziarie diventa, nel volgere di pochissimo tempo, impraticabile. Salta il ruolo di mediazione di gruppi dirigenti locali attestati nella difesa di un equilibrio moderato, all'interno del quale lobbies di varia natura e ceti privilegiati potevano contare su una copertura fondata sullo scambio tra consenso elettorale ed elargizione clientelare dei flussi finanziari statali. Fuori da questo sistema, a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, comincia a crescere una Sardegna diversa: soggetti sociali e forze produttive che hanno imparato a reggersi sulle proprie gambe, fuori della protezione garantita dal ceto politico locale e che hanno come riferimento la grande rete di relazioni attivata dalla mondializzazione dell'economia. Questo è stato in Sardegna il principale effetto della globalizzazione: è saltato il tappo della mediazione moderata tra stato centrale e società locale. Così si spiega la crisi di rappresentanza dei partiti tradizionali, a partire dal Psd'az, che al termine della sua lunga parabola discendente è giunto, nelle ultime elezioni politiche, a rompere con l'alleanza di centro sinistra e a candidare al Senato i suoi leader nelle liste della Lega di Umberto Bossi, fuori dall'isola, in Lombardia. Così si spiega, anche, il fenomeno Soru e il passaggio del testimone dell'autonomismo e della difesa della lingua e dell'identità nelle mani di un imprenditore affermatosi, non a caso, in un settore, quello delle nuove tecnologie dell'informazione, al riparo (almeno in una fase nascente) dai condizionamenti e dalle protezioni del sistema di potere locale. E' un autonomismo, quello soriano, che ha come riferimento non più lo stato centralistico ma il grande sistema delle istituzioni sopranazionali, il sistema mondiale senza centro che ha sostituito gli stati o li ha ridotti a snodi della rete. E' a questo proposito molto significativo che il principale motivo addotto da Soru per giustificare l'adozione di una lingua unificata da usare negli atti dell'amministrazione regionale, sia che questa decisione rende possibile eleggere un rappresentante della minoranza sarda nel parlamento europeo.
Se nel giudicare quest'ultima fase dell'autonomismo sardo si applica il criterio adottato per le altre tre, ovvero quello del segno politico dell'autonomismo soriano sull'asse destra-sinistra, la valutazione è tutt'altro che scontata. In gran parte dipenderà dagli esiti complessivi dell'avventura che Renato Soru ha intrapreso ormai quasi due anni fa. La rottura del vecchio sistema di potere di cui Soru e il suo movimento sono, insieme, un effetto e una causa, va spinta in una direzione che persegua, insieme con l'apertura al mondo globalizzato, anche l'obiettivo di rapporti sociali nuovi, di rottura dell'ordine esistente, oggi il neoliberismo, ultima fase dello sviluppo capitalistico. Così era nell'autonomismo di Emilio Lussu e di Antonio Gramsci. O così, oppure l'autonomismo di Soru sarà risucchiato nel gorgo del moderatismo. 

Costantino Cossu 


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