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22/05/2005 Sèberos de imprenta - www.sassari.org

Emiliu Lussu: sardista sardu o progressista italianu? 

LUSSU TRENT’ANNI DOPO. LA FALSA SINISTRA CHE ESCE…DA UNA SUA COSTOLA

INTERVISTA SU EMILIO LUSSU con GIUSEPPE ATZERI



On.le Atzeri, trent’anni fa moriva Emilio Lussu, e oggi molte forze politiche fanno a gara per tirargli la giacchetta. Una citazione di Lussu a sostegno della propria parte non si nega a nessuno…

Non voglio fare polemiche gratuite, e neppure accodarmi al coro degli eredi legittimi di Lussu, veri o presunti. Tuttavia, mi pare che tutto questo fervore lussiano sia molto sospetto. Possibile che tanti intellettuali e politici nostrani siano improvvisamente diventati lussiani, federalisti e sardisti, senza se e senza ma? 

Provi a rispondere…

La verità è che se è vero che Lussu non appartiene a una forza politica, è anche vero che non tutti sono suoi figli legittimi. Mi viene da sorridere quando sento glorificare Lussu da esponenti che hanno passato tutta la loro carriera a sposare le posizioni dei peggiori ascari. Penso alla denigrazione del federalismo in nome dello statalismo più becero; penso alla sottovalutazione del sardismo, promosso a ideologia politica di serie A solo se considerato “di sinistra”… 

In effetti il PSdAz è considerato a tutti gli effetti forza politica di sinistra. Anche i sardisti sono una costola della sinistra? 

Il PSdAz è un partito etnico che ha elaborato una dottrina politica orientata ai problemi sociali, alla difesa dei più deboli, alla lotta contro le ingiustizie. Se questo vuol dire essere di sinistra, allora siamo di sinistra, anche se non possiamo condividerne la cultura statalista. Se poi tutto questo allude al fatto che il PSdAz deve per forza rientrare nella logica di schieramento bipolare, frutto di leggi elettorali truffaldine e liberticide, allora dico che si tratta di una posizione alquanto subalterna che noi rigettiamo sdegnosamente. Quanto alla “costola”, dico solo che a molta gente farebbe comodo un PSdAz appendice incerta di un più vasto organismo con una sola testa pensante. Ma naturalmente parecchie cose ci uniscono all’attuale sinistra, altrimenti non avremmo accettato una alleanza alle amministrative. 

Curiosamente, anche Lussu è ormai definito “sardista di sinistra” per via delle sue scelte politiche maturate a partire dal 1948. Lei condivide questa lettura? 

Non devo certamente sindacare io il percorso politico lussiano. Anzi, dovrei dire “partitico”, perché a mio avviso Lussu è sempre stato sino alla fine profondamente sardista, e infatti non ha mai trovato una adeguata collocazione tra i partiti storici della sinistra. 

E allora, cui prodest? 

A pensar male si azzecca quasi sempre. E allora, mi preoccupa una certa strumentalizzazione del personaggio Lussu, arruolato d’ufficio dalla nuova sinistra sarda che si autodefinisce sardista e federalista, e che perciò utilizza il cavaliere dei Rossomori come testa di ponte. La realtà è che Lussu fu prima di ogni altra cosa un sardista moderno, nemico del separatismo e tenace assertore della necessità che la questione sarda fosse collocata e risolta sia nell’ambito della Nazione italiana, sia nell’ambito dell’Europa delle Regioni. Se poi andiamo a vedere meglio, la questione sociale lussiana ha poco a che vedere con l’operaismo del Nord, e ha semmai le connotazioni ruraliste del primo sardismo. Ma piuttosto che criticare le altrui posizioni politico-culturali, in casa sardista sarebbe da fare una salutare autocritica…

In che senso? 

Nel senso che se Lussu è stato in parte devitalizzato negli aspetti più scomodi del suo pensiero, e oggi appare il nume tutelare di una sinistra in cerca di identità, la responsabilità è anche e soprattutto di noi sardisti. Non abbiamo saputo valorizzare la figura più rappresentativa del sardismo, abbiamo lasciato – e lo dico con amarezza – il campo mediatico ai nostri avversari, non siamo riusciti a diffondere il suo pensiero e i suoi scritti. Era troppo facile prevedere che ogni vuoto sarebbe stato colmato altrove…

A suo avviso, quanto ha pesato la scissione del 1948? 

Credo che in casa sardista sia sopravvissuto un fastidioso rancore. La scelta di Lussu è stata vissuta come tradimento. E’ mancata la storicizzazione, la capacità di leggere quegli eventi alla luce di un’epoca storica caratterizzata da straordinari mutamenti e immani tragedie. E – aggiungo -, è mancata anche un po’ di autocritica: Lussu, al suo ritorno dall’esilio, trovò una Sardegna molto distante, e un Partito Sardo non sempre all’altezza delle nuove sfide, arroccato a volte su posizioni localistiche. E’ la solita lezione: nessuno è profeta in patria. 

D’accordo, ma non crede che dietro la retorica dei lussiani di ogni colore si nasconda una pericolosa mitizzazione? 

Noi non abbiamo bisogno di miti, ma di coniugare memoria storica e capacità progettuale. 

Se permette, tornerei sull’attualità di Lussu, che poi è stato il suo cavallo di battaglia tra marzo e aprile…

Colgo volentieri l’assist, per ricordare che il PSdAz questa volta è stato puntualissimo e presente. Abbiamo celebrato il trentennale della morte di Lussu a Cagliari e a Terralba, e la risposta della base è stata eccezionale. In questi due appuntamenti abbiamo evitato l’errore di fare l’oleografia di Lussu, che poi significa imbalsamarne il valore. E’ stato più importante recuperarne gli spunti, valorizzarne gli aspetti più avanzati, attualizzarne la lezione. Per prima cosa abbiamo cercato di riflettere sul senso della battaglia lussiana per il federalismo e per lo Statuto speciale. 

E ovviamente il discorso si è intrecciato con il dibattito intorno alla riforma del Titolo V…

Era inevitabile. E infatti abbiamo ricordato aspetti della lotta politica di Lussu che altri sfiorano appena. Mi riferisco al tentativo benemerito di Lussu per estendere lo Statuto siciliano alla Sardegna. Tutti ricordano che la Consulta regionale si oppose in base a miopi giustificazioni: lo Statuto sardo – dicevano i nostri consultori – ce lo dobbiamo elaborare noi senza influenze esterne. Il bello è che si trattava, negli intendimenti di Lussu, di una estensione parziale che non impediva opportuni aggiustamenti. Poi tutti sanno come andò a finire. La Sardegna si trovò con uno Statuto che di speciale aveva solo l’intestazione, e oggi ne paghiamo tutte le conseguenze. Meno nota è invece la vicenda interna alla Consulta, e in particolare lo spirito anti-autonomistico di molti membri che rispondevano pedissequamente alle direttive dei partiti italiani. 

Allude a qualcuno in particolare? 

La mia è una valutazione complessiva. Dico solo che sarebbe molto istruttivo se anche nelle scuole si leggessero gli atti della Consulta. Si imparerebbe una grande lezione sullo spirito reazionario degli anti-autonomisti. E si misurerebbe la distanza siderale tra Lussu e gli ascari di ogni colore. 

A dirla tutta, però, si sa molto poco del famigerato Statuto siciliano. In che senso riflettere su quelle vicende può essere attuale? 

Rileggendolo, si comprende quanto sia stato grave errore politico averlo rifiutato. A cominciare dal capitolo dei rapporti finanziari: la Sicilia riscuote direttamente le entrate e poi versa mensilmente allo Stato quanto dovuto. Inoltre, le imprese che hanno stabilimenti in Sicilia pagano le imposte nella Regione. E poi: polizia locale, Alta Corte, consiglieri regionali assimilati ai deputati, Presidente della Regione con voto deliberativo e status di Ministro nelle sedute del Consiglio dei Ministri su materie di interesse regionale. Mi sembra che ce ne sia abbastanza. Se poi andiamo a vedere l’organizzazione interna, scopriamo che i siciliani non si sono accorti della mancanza delle Province, e infatti l’ordinamento delle autonomie locali si basa sui Comuni. E per finire, basta considerare la potestà legislativa: la Sicilia si comporta come uno Stato membro di un ordinamento federale. 

Alla fine, però, Lussu è rimasto isolato…

E’ una vicenda che fa riflettere. Lussu aveva ragione: senza i poteri siciliani la Sardegna avrebbe pagato un prezzo salatissimo in termini di autodeterminazione. Pensiamo alle attuali vicende del Titolo V: basta confrontare gli altissimi contenuti della battaglia isolata di Lussu, il suo spirito costituente, la sua capacità di visione generale, con la riforma del decentramento amministrativo spacciato per federalismo e imposto dalla sinistra con una scorretta prassi parlamentare. “Spirito costituente” significa, tra l’altro, che le riforme costituzionali non si fanno a colpi di maggioranza…

“Spirito costituente” rimanda anche a una polemica che ha caratterizzato negli ultimi anni la politica sardista…

Posto che le grandi riforme del patto sociale devono essere realizzate al di fuori delle logiche di schieramento, ritengo che abbiamo perso una grande occasione storica. Se avessimo deciso di rifondare lo Statuto con l’Assemblea Costituente del Popolo Sardo, eletta con il sistema proporzionale, in rappresentanza di tutte le forze politiche e sociali, e con poteri consultivi per non esautorare il Consiglio regionale, oggi avremmo fatto della questione-riforme una grande questione sociale, un formidabile momento di aggregazione di tutta la Nazione sarda. Fase costituente significa prima di tutto coinvolgimento collettivo. La farsa della Consulta consegna invece la riforma dello Statuto a logiche di palazzo. I cittadini “possono” partecipare solo su eventuale richiesta dei rappresentanti delle autonomie locali. E’ un’altra grande occasione persa…

La domanda è d’obbligo: che posizione avrebbe preso Lussu sull’Assemblea Costituente?

Sarebbe stato sicuramente favorevole. Ma ci avrebbe ammonito: fatevi sentire di più in sede comunitaria, e quando andate a Roma, non presentatevi con il cappello in mano. Autonomia, dignità e orgoglio sono inseparabili…

Sempre sull’attualità del pensiero lussiano: autorevoli studiosi hanno affermato che finché non arrivò Lussu il federalismo rimase nel vago. Tuttavia, il federalismo rimane sullo sfondo, perché nelle celebrazioni è posto in evidenza soprattutto la battaglia per l’autonomismo. Ma non fu proprio Lussu a parlare dell’autonomia come gatto rispetto al leone-federalismo? 

Intanto occorre sgombrare il campo da alcuni equivoci. In Lussu l’autonomia è solo un passaggio tattico al federalismo. D’altra parte la storia si ripeteva: le correnti federalistiche furono sconfitte in Italia per la prima volta nel Risorgimento e ci dovemmo accontentare della piemontesizzazione. Un secolo dopo ci siamo accontentati di un blando regionalismo. Ma quello lussiano era un vero federalismo, equilibrato e solidale, ispirato a modelli istituzionali che hanno prodotto sviluppo (Austria, Germania, Svizzera). 

Più avanzato rispetto alla riforma del 2001? 

Nulla a che vedere con il mostro giuridico che ha partorito la riforma del Titolo V. Basta pensare che l’art. 117 contiene un elenco pletorico di competenze esclusive e concorrenti, fonte di incertezze e di ricorsi, e che l’art. 119 si limita a prevedere un fondo perequativo indistinto. Ma il federalismo fiscale è ben altra cosa, e senza questo non può esistere il federalismo politico. Ma anche se l’architettura costituzionale fosse realmente ispirata alla logica federale, si tratterebbe pur sempre di un federalismo senz’anima. E quindi sarebbe molto distante dalle passioni sardiste. Però, se permette, vorrei puntualizzare una cosa. 

Dica pure. 

Mi piacerebbe che non si enfatizzasse troppo la metafora gatto/leone, anche perché reiterare quella citazione per parlare del federalismo lussiano significa fare di Lussu una caricatura. In quel discorso alla Costituente ci sono ben altre posizioni…

Ad esempio? 

L’oratoria di Lussu meriterebbe di essere seriamente studiata. E’ straordinario, ad esempio, il modo con cui ironizza intorno alla cultura antifederalista circolante negli ambienti parlamentari. Sembra quasi di leggere vicende dell’attualità. Sul merito, nessuno si sogna di ricordare che Lussu era contrario alle Province e alle Prefetture. In una corretta visione federalista basata sulla vera sussidiarietà la Regione programma e i Comuni, unici depositari della sovranità popolare, amministrano. Aggiungo – ma è quasi superfluo - che le Prefetture sono un retaggio napoleonico, simbolo del peggiore statalismo. Come si fa a professarsi federalisti senza risolvere queste contraddizioni? 

Torniamo alle celebrazioni lussiane: lei ha polemicamente disertato la celebrazione per “Sa Die” organizzata dalla Giunta, in cui Lussu, almeno nelle intenzioni, avrebbe fatto la parte del leone…

Diciamo che ero impegnato con la campagna elettorale. 

Allora le chiedo: cosa pensa del programma della Giunta per celebrare “Sa Die”? 

Non ho mai fatto mistero delle mie riserve sulla finanziaria, con cui i finanziamenti per “Sa Die”, emblema della festa nazionale dei Sardi, sono stati tagliati dell’80%. L’evento è stato stravolto, e si è ridotto a un mero convegnetto tra amici, senza coinvolgimento popolare e senza emozioni. Lussu va benissimo come pretesto per celebrare “Sa Die”, ma è un insulto al sardismo ridurre una festa di piazza a cenacolo di intellettuali e parata di politici. Non è su questa via che si può sviluppare una vera politica sardista. 

Cosa si sarebbe dovuto fare per rivitalizzare “Sa Die” senza logiche di palazzo o inutili folklorismi? 

Portare Lussu nelle scuole, diffondere la lettura delle sue opere, approfittare della circostanza per ristudiare la storia della Sardegna, organizzare manifestazioni capaci di coinvolgere e interessare. Gli addetti ai lavori non hanno bisogno di convegnetti ma di stimolare la riflessione popolare. Riprendendo il famoso discorso del 1947 alla Costituente, potrei raccomandare: “che nelle nostre case gli scaffali siano pieni di libri” e non di liquori. Come a dire: senza consapevolezza delle proprie radici e senza adeguata cultura non si può fondare alcuna autonomia. 

Per concludere, qual è l’eredità di Lussu per il terzo millennio? 

La sua grande etica politica: Lussu aborriva il clientelismo, le raccomandazioni e la corruzione. E poi la sua capacità di osservare i fenomeni su grande scala, di anticipare le direttrici della storia, e di coniugare il senso dell’identità con l’apertura all’innovazione. Con senso di responsabilità e senza piagnistei. A noi sardisti il grave compito di sviluppare e attualizzare questi grandi valori. 

A segus