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27/05/2005 Seberos de imprenta/ Unione Sarda de su 25.05

Sas provintzias limbisticas

de Eduardo Blasco Ferrer

L'unificazione linguistica non è in genere un processo anodino. Anzi, il più delle volte è il risultato di lunghi e sofferti periodi di conflitto politico e militare. La storia ci insegna che col tempo gli abitanti di contrade differenti che per un motivo o per un altro si son trovati uniti sotto un tetto politico-amministrativo univoco hanno imparato a riconoscere le proprie caratteristiche e quelle altrui, e gradualmente, senza pressioni esterne, hanno elaborato codici comunicativi accettabili per tutti. Generazione dopo generazione, le diversità più marcate all'interno della nuova comunità etno-politica sono andando sbiadendosi, e un senso di identità e di compattezza di gruppo s'è consolidato nel seno delle nuove società. Come solevano dire i fautori del primo costruttivismo filosofico, "l'esperienza è la causa, il mondo l'effetto". Così è stato per tanti territori dell'Europa e di altri continenti, e poiché l'esperienza si può osservare, testare, replicare e convalidare, è bene riflettere sull'applicabilità di esperienze passate in altre regioni alla nostra situazione, che è quella sarda. Le riflessioni che seguono, personali ma credo ampiamente condivisibili, fanno leva sui risultati delle esperienze politiche più recenti. È un modo, credo, di cominciare a stabilire un rapporto diretto e dialettico fra processi sociali e fenomeni culturali specifici e privilegiati, qual è líunificazione linguistica. Chi ha seguito con attenzione il profilo "politico-linguistico" degli ultimi anni e i risultati delle ultime elezioni regionali non può che restare sorpreso da una veramente inaspettata sorpresa del destino, che può preannunciare un'improvvisa accelerazione di processi già in atto, ma fortemente statici fino a poco fa. Il lettore sa bene che la "questione della lingua sarda" ha avuto, diciamo dal dopoguerra a oggi, un andamento oscillante. A momenti di fervida discussione e di coinvolgimento generale si son succeduti periodi di forte disattenzione, quasi di disinteresse. La questione di fondo è rimasta però sempre la stessa: può una comunità che vanta una cultura ancestrale molto distintiva rimanere senza una lingua d'uso comune, riconosciuta, valorizzata e sfruttata in ogni settore della società, familiare ed extrafamiliare, privato e pubblico? La risposta non è mai stata unanime, poiché uníoculata ricognizione della realtà linguistica, e anche antropologica, faceva emergere un quadro fortemente frastagliato. L'apporto conoscitivo di questa realtà è stato fornito da studiosi sardi e non sardi, ma sono stati soprattutto questi ultimi, e in particolare gli stranieri, ad aver notato la grande "aporia sarda": una regione con una sola frontiera esterna, ma con molte frontiere interne. John Day, Maurice Le Lannou, Max Leopold Wagner e tanti altri ci hanno fatto capire che binomi quali Centro montano contro Pianura, Pastori contro Contadini, Latino arcaico o di fase I contro Latino innovativo o di fase II e III, hanno rappresentato nella storia della Sardegna quei fattori preminenti dell'Esperienza che si son trasformati poi nel Mondo a noi noto e realmente vissuto, ossia nella società sarda poliedrica di oggi. I dati scientifici, non le valutazioni personali e impressionistiche, concordano nel dirci che il Sassarese e la Gallura, il Logudoro e il Campidano sono realtà diverse, e che allíinterno di esse si possono scorgere alcune ulteriori frazionamenti, giustificati nuovamente dalla storia, quali l'Ogliastra, il Sulcis e l'Area mediana (pressappoco dall'Alta valle del Tirso fino a Désulo). Orbene, le quattro Province sarde (CA,OR,NU,SS) che conosciamo da mezzo secolo non riflettono pienamente la diversità cultural-linguistica ereditata nelle varie contrade sarde. E ciò spiega anche il lungo disorientamento dellíamministrazione regionale di fronte a rivendicazioni legittime, ma fortemente articolate provenienti dal popolo. In assenza di una legge-tetto, qual è stata la L.R. 26 del 1997, solo le Province organizzavano, desultoriamente e senza la totale solidarietà interna dei comuni, incontri, dibattiti e sperimentazioni sulla valorizzazione della lingua sarda. Le cose son cambiate radicalmente dopo il 1997, e soprattutto quando sotto l'egida dell'Assessorato guidato da Pasquale Onida si è formulata una proposta di Limba Sarda Unificada che ha premiato (per vari motivi e con molte deroghe che non commento) la varietà nuorese. È stato forse a quel punto che più voci dissidenti si son fatte sentire, e che la polemica che si è accesa sulla futura lingua standard ha impresso un forte dinamismo nella ricerca díuna soluzione adeguata. Dopo il 2001 fra le tante iniziative lodevoli e impegnative, segnalerei per collegarmi col discorso che segue quelle del Comune di Quartu S.E., allora diretto da Graziano Milia, che puntava a rivalutare la varietà campidanese e a prendere come modello da imitare la formulazione giuridico-amministrativa della Carta de Logu, e anche quella "panogliastrina", sorta da un lungimirante progetto didattico ideato dall'allora Preside del Liceo Busincu di Ierzu, prof. Piero Coccolone, e sostenuto dal Vicepresidente della Comunità Montana dellíOgliastra, prof. Piero Carta. Come il lettore avrà sicuramente intuito dalle premesse e da queste ultime precisazioni, le elezioni provinciali hanno alterato decisamente il quadro geo-linguistico e politico-linguistico tradizionale, e ciò è accaduto in due modalità concomitanti. Da una parte, con le otto Province sarde si ha una redistribuzione "casuale" ma molto affinata delle principali varietà e sottovarietà linguistiche. Al punto che si può a ragion sostenere che sentendo parlare un Sardo si potrà risalire alla sua Provincia di origine. In effetti, la Gallura ha finalmente ottenuto il distintivo linguistico che spettava a uníarea fortemente colonizzata, e linguisticamente influenzata dai Corsi (basti ricordare col Wagner lu iculu per "la culla"). Nei rapporti di frontiera fra Nuorese e Alto Campidanese s'è anche avuta una più naturale reintegrazione di alcuni comuni alle loro "basi storiche" (si pensi all'asse Isili-Nurri, di parlata campidanese). L'Ogliastra, una regione spiccatamente differenziale per motivi storici, geomorfologici e non in ultima analisi linguistici (rammento soltanto la forma cisso, cissu, al posto di log. chitho, camp. chitzi "presto") emerge finalmente dal suo plurisecolare assopimento per aspirare ad avere una sua giusta collocazione nella scacchiera sarda. Il Sulcis, un'area particolarmente eccentrica nella compagine meridionale (si pensi agli agglomerati sulcitani chiamati boddeus, da lat. collegium, e alla pronuncia ciu, chici per tziu, chitzi), e il Medio Campidano, una vasta pianura che incuneata fra i principali capoluoghi meridionali accentra i comuni di più radicata e inalterata tradizione contadina, e serba tratti linguistici distintivi (quali la nasalizzazione delle vocali e il passaggio di L- latina a una b rilassata: lu(n)a, sobi) cooperano altresì a distinguere più fedelmente la traiettoria storico-antropologico-linguistica della parte meridionale dell'Isola. La Provincia sicuramente più conflittiva è Oristano: avendo allargato i suoi confini, concentra comuni di lingua dichiaratamente logudorese (Bonàrcado: fizu, chimbe, deghe), insieme con paesi di parlata prettamente campidanese (a sud di Oristano: fillu, cincui, dexi), e con altri centri di area mediana (Milis: chimbi, Samugheo: dege, Làconi: fixu). Ma è proprio da Oristano che vorrei concludere le mie discettazioni puntando i riflettori sulla seconda "casualità elettorale". I voti sardi hanno promosso concomitantemente tre Presidenti di Provincia che hanno investito in passato parecchie energie per difendere la questione della lingua sarda, partendo tuttavia da prospettive diverse: Pasquale Onida, Graziano Milia, Piero Carta. Il gioco a scacchi sardo è diventato all'improvviso molto dinamico e attraente, e il futuro prossimo, ne sono sicuro, non ci risparmierà delle sorprese. Il consuntivo finale è, nondimeno, molto gratificante, perché da una imminente e speriamo fertile dialettica fra le Province può nascere quel consenso necessario per limare le contraddizioni "genetiche" che le varietà provinciali hanno ereditato da secoli di storia in un Regnum Sardiniae che non è mai stato un cerchio di Parmenide. Eduardo Blasco Ferrer

25/05/2005

A segus