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CHISTIONES

23/07/2008 
Il problema della lingua è troppo serio per essere lasciato in mano ai linguisti (che parlano di sardo ma non parlano in sardo)
[di Giacomo Ledda - Barcellona]


Nei giorni scorsi sono apparsi su un giornale diversi articoli a proposito della lingua sarda e di altre parlate della nostra isola, articoli che, semplificando, potremmo dividere in due gruppi: da una parte quelli dei sostenitori della Limba Sarda Comuna (LSC) e dall' altra, quelli di altri studiosi, che vedono in questa una lingua artificiale, un sorta di esperanto, una lingua costruita a tavolino, un business con l�unico scopo di fare traduzioni di tutto, assicurano. Se è vero, come ha sostenuto qualcuno, che la guerra � cosa troppo seria per essere lasciata ai generali, forse anche il problema della lingua è fin troppo importante e serio per lasciarlo in mano, almeno completamente, ai linguisti.

Per chi come me, e molti altri, è a digiuno di linguistica ma ha a cuore le sorti della lingua sarda e la sua normalizzazione, è temerario, se non grottesco, difendere le propie tesi entrando nel campo di una scienza o di una sua area che non conosce. Quando però il sapere teorico di nozioni scientifiche viene divulgato, espresso in una forma accessibile a molti, tradotto a un registro più colloquiale, quando si lasciano da parte i panni dello specialista per vestire quelli dell'esperto, penso che allora il parere, e anche i disappunti di chi si avvicina alla materia pur non essendo specialista debbano essere ascoltati.

Un caso paradigmatico di ciò che ho appena scritto è l'articolo- intervista della professoressa Lorinczi di qualche giorno fa su questo giornale. Non mi sembra che bisogna essere un linguista per comprendere qual è il pensiero pi� genuino della professoressa sulla questione della lingua sarda. Dei molti spunti di discussione che offre l' articolo vorrei solo accennare ad uno. Così come in molte situazioni della vita è più importante quel che non vien detto di quel che si dice, cos� in questa intervista viene celato, o non viene riconosciuto, un concetto fondamentale, un concetto principe, senza il quale ogni discussione sul problema linguistico, in Sardegna, diventa un parapiglia e basta.

Si tratta del concetto di lingua del territorio. I diritti linguistici non sono solamente personali o di gruppo, seppur vasto, ma sono soprattutto del territorio che possiede una lingua propria, de su logu, della nazione, con o senza stato. La professoressa Lorinczi tira continuamente in ballo sia le supposte contrapposizioni tra varianti del sardo, sia la presenza di minoranze linguistiche nell'isola, minoranze storiche scrive, e anche altre minoranze che si formeranno in futuro, e lo fa per distrarre dal problema principale: che la lingua propria della Sardegna è il sardo, che possiede s� una gran varietà territoriale che ne rende difficile la normalizzazione e l' accettazione da parte di tutti, ma � questa la lingua propria della Sardegna, e non altra. A proposito del catalano di Alghero che verrebbe mollato e che se trattato con maggiore attenzione la Catalogna potrebbe investire di più, la risposta l'ha già data Jordi Pujol, ex presidente della Catalogna, a un giornalista sardo che gli suggeriva un maggiore impegno verso il catalano di Alghero: "Abbastanza problemi abbiamo in Catalogna per insegnare il catalano nelle periferie di Barcellona per doverci occupare di quello di Alghero ". Anche se la verità è che ad Alghero operano associazioni culturali catalane, della madrepatria, di grande prestigio.

Altro argomento: quello del turista che vuol conoscere la varietà locale, della lingua, e la valorizzazione sta nella varietà. La Lorinczi quasi suggerisce di copiare iniziative del Molise e della Calabria per usare le lingue del posto come attrazione turistica, scrive proprio così, attrazione turistica. Forse è questo uno dei più solidi argomenti del perchè la guerra non può essere lasciata in mano ai generali.

Ritorno al concetto di diritti linguistici del territorio. La professoressa Lorinczi ne accenna, ma li nega a chi li possiede, quando scrive che "negli stati baltici gli immigrati russi del primo '900 non imparavano la lingua locale mentre gli abitanti dovevano imparare il russo. Ora la situazione è rovesciata, chi non parla la lingua locale è stato discriminato. e avendo rinunciato al russo, le repubbliche baltiche "si sono castrate", sentenzia. I discriminati, quindi, in Estonia per esempio, sarebbero i russi attuali che non conoscono l' estone (400.000 persone), non gli estoni, 900.000 e a casa loro, che erano obbligati a imparare il russo. Geniale.

Andorra è un piccolo stato indipendente che si è dato una costituzione nel 1993. La popolazione straniera rappresenta circa il 70% dei suoi abitanti; il 43% � di madrelingua castigliana, appena meno del 30% usa come prima lingua il francese o il portoghese; il 30% è di madrelingua catalana. L'articolo secondo della sua costituzione sancisce come unica lingua ufficiale dello stato il catalano. Questo perchè ? Perchè la lingua propria delle valli andorrane è la catalana, malgrado oggi si trovi in netta minoranza rispetto alle altre per le migrazioni avutesi in questi ultimi decenni. Vige l'uso esclusivo del catalano nell' amministrazione pubblica, nei mezzi di comunicazione, nella giustizia, nella polizia. Non è questo ciò che sogno per la Sardegna (le chimere in politica sono del secolo scorso), ma che almeno il sardo abbia pari dignità effettiva con l'italiano nella propria terra, in domo sua, questo sì penso che potrà essere. Mi dispiace per molti. Dimenticavo che ad Andorra, anche le delibere sull'emergenza incendi, a cui tanto tiene la professoressa Lorinczi, sono in catalano e la popolazione le legge e le capisce, così come anche da noi si capiscono oltre quelle scritte in italiano, quelle scritte in sardo.

Giacomo Ledda


Cordialmente Giacomo Ledda Barcellona






 
 
 

 

 
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