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CHISTIONES

26/06/2008 
Qual è il confine tra "is" e "sos" nella ricerca sociolinguistica? E tra manipolazione e scienza?
[de Roberto Bolognesi]

Il 9 giugno Paolo Maninchedda ha pubblicato sul suo sito (www.sardegnaeliberta.it) il seguente commento di accompagnamento a una lettera del Prof. Giulio Paulis al presidente Soru:
“Non ho mai taciuto in nessuna sede la stima che provo per il prof. Giulio Paulis, vero e unico erede di Max Leopold Wagner per la linguistica sarda. Ho imparato moltissimo dai suoi libri e consiglio sempre a tutti di seguire le sue lezioni perché ha un’esposizione così limpida che consente una memorizzazione rapida e definitiva di tanti dati. Questa mai nascosta ammirazione è aumentata quando ho letto, qualche giorno fa, nelle carte agli atti della Regione sulla Limba sarda comuna, una lettera scritta da Paulis al Presidente della Regione, nella quale egli illustra, col garbo che lo ha sempre contraddistinto, ma anche con un fermo amore per la verità, il suo parere sull’inchiesta sociolinguistica Le lingue dei sardi. Era il 2 maggio 2007. Leggetela con attenzione. Vi si svela la manipolazione del risultato in vista di una giustificazione a posteriori di una scelta politica. Continuo a pensare che sia tipico dei regimi manipolare la realtà. (p.m.)”

Io mi sono letto la lettera di Paulis e ho reagito nel modo seguente: “Concordo con Paolo Maninchedda che è tipico dei regimi manipolare la realtà. Concordo anche sul fatto che è un peccato che manchino dalla ricerca sociolinguistica pubblicata dalla Regione (“Le lingue dei sardi”) i dati relativi alla domanda 150 (“Quale delle varietà del sardo si vorrebbe venisse impiegata come lingua ufficiale?”): si sarebbe visto quanta poca gente, in effetti, sceglierebbe una certa varietà del sardo! Il 15,6% dei sardi sceglierebbe il “logudorese”, il 6,2% il “campidanese”, il 3,1% il “nuorese”, l’1,4 il sassarese e l’1,1 il gallurese. Il 27,4% dei sardi, probabilmente, vorrebbe vedere la propria varietà come lingua ufficiale. Per un partigiano della LSC, questo mi sembra piuttosto un dato da esibire, non da nascondere!
Ho posto le definizioni tradizionali delle varietà del sardo tra virgolette. Si tratta infatti di idealizzazioni operate dai linguisti che non trovano riscontro nella realtà linguistica sarda.


Per capirci, i curatori della ricerca sociolinguistica hanno diviso il sardo propriamente detto in due varietà (“logudorese” e “campidanese”) sulla base dell’articolo determinativo plurale (sos/sas vs. is). La scelta è stata effettuata, a detta loro “per ragioni pratiche”, basandosi su una “semplificazione” operata dal Prof. Paulis (“Le lingue dei sardi”, pag. 65, nota 12).”
Nel mio intervento io ho quindi erroneamente attribuito a Giulio Paulis la “semplificazione”, ma esprimendo i miei dubbi in proposito con la frase: “a detta loro”. Il Prof. Giovanni Lupinu ha chiarito la cosa in una sua replica. In effetti si può vedere come stanno le cose dalla nota 13 a pag. 65 della ricerca sociolinguistica “Le lingue dei Sardi”:


“In fase di predisposizione del piano della ricerca il prof. Michel Contini aveva disegnato le aree linguistiche che avrebbero dovuto essere presenti nel campione. Tale tavola è stata rivista dal prof. Giovanni Lupinu che, successivamente, per esigenze di elaborazione, ne ha predisposta una semplificata basata sul lavoro di Paulis. Si tratta di una carta linguistica, approntata dal curatore italiano, in coda a: M. L. Wagner, Fonetica storica del sardo, a cura di G. Paulis, Cagliari (Trois) 1984. È importante aggiungere che la distinzione tra area campidanese e area logudorese è tracciata sulla base della distribuzione dell’articolo determinativo plurale (sos, sas vs. is): si tratta di un criterio selezionato, fra altri possibili, in base alla sua utilità pratica (la necessità, cioè, di stabilire un confine netto). Cfr. Appendice metodologica.” L’autore della nota è Riccardo Spiga.


In uno scambio di interventi serrato e piuttosto acceso, da parte di diversi partecipanti al forum, si è dibattuto poi il tema della divisione del sardo in due varietà. Ci sono stati anche dei momenti di comicità più o meno volontari, come quando uno dei partecipanti alla discussione mi ha accusato di essere stato assunto come ricercatore “grazie alle mie doti amatorie”. Mi considero un maschio emancipato, ma non riesco proprio a offendermi per questo complimento involontario!


Io ho concluso il dibattito con Giovanni Lupinu nel modo seguente: 


“Allora, qualcuno-Riccardo Spiga, Giovanni Lupinu o Giulio Paulis: poco importa-ha la necessità di stabilire un confine netto tra le varietà del sardo. E lo fa sulla base di un’unica isoglossa, pur sapendo, come si deduce dall’ultimo intervento di Lupinu [che ha ammesso di conoscere e di ritenere valido il lavoro di Michel Contini sulla variazione dialettale in Sardegna], che questo confine netto non esiste, in quanto dimostrato da Contini, il quale ha mostrato che questo confine, appunto, non esiste.


Se questo confine netto non esiste, la necessità della sua esistenza non può essere di natura scientifica, ma politica: “il confine deve esistere!” Alla scienza, ovviamente, non gliene frega niente del confine tra logudorese e campidanese. La scienza deve descrivere e spiegare la realtà e non i desideri degli scienziati.


Qualcuno-Riccardo Spiga, Giovanni Lupinu o Giulio Paulis: poco importa-ha la necessità politica di tracciare un confine netto tra varietà del sardo che nella realtà linguistica della Sardegna non esiste. Quel confine esiste confusamente nel ristrettissimo mondo immaginario della linguistica storica e della letteratura, ma non nel mondo reale dei parlanti del sardo.


Qualcuno-Riccardo Spiga, Giovanni Lupinu o Giulio Paulis: poco importa-ha manipolato i risultati di una ricerca scientifica, debitamente pagata dalla Regione, per un proprio fine politico: “stabilire un confine netto” tra le varietà del sardo.


Allora eccola qui la manipolazione della realtà prodotta tipicamente dai regimi, di cui parla Paolo Maninchedda. Di quale regime si tratti lo sa chiunque abbia studiato linguistica sarda nelle università di Cagliari o Sassari. Con un’unica eccezione, nelle università italiane della Sardegna, spacciata per linguistica sarda, si impara solo la linguistica storica tedesca di fine ‘800, applicata al sardo. Tutto quello che è stato fatto altrove in tutti gli anni che sono seguiti al 1941 viene sistematicamente ignorato. Mi viene da pensare a Salazar…


Lupinu ha, molto indirettamente, ammesso che la sua posizione politica è quella favorevole alla divisione del sardo in due. Fermo restando che, da un punto di vista politico, Lupinu ha tutto il diritto del mondo di volere qualsiasi cosa, anche l’estinzione del sardo, Riccardo Spiga, Giovanni Lupinu o Giulio Paulis: poco importa, non avevano il diritto di manipolare i dati della ricerca.


Perché nel momento in cui il Prof. Paulis ha denunciato al presidente Soru l’omessa pubblicazione dei dati sulle preferenze dei Sardi riguardo alla lingua ufficiale, contemporaneamente gli stava presentando dei dati manipolati. Infatti le percentuali presentate delle preferenze sono, almeno in parte, il risultato della manipolazione effettuata da Riccardo Spiga, Giovanni Lupinu o Giulio Paulis: poco importa.


Allora la minoranza di parlanti del sardo che hanno espresso una preferenza: il 27,4% dei sardi, suddivisi tra il 15,6% che sceglierebbe il “logudorese”, il 6,2% il “campidanese”, il 3,1% il “nuorese”, l’1,4 il sassarese e l’1,1 il gallurese, probabilmente—molto probabilmente!—vorrebbe vedere la propria varietà come lingua ufficiale. Infatti se un intervistato di Aritzo avesse scelto per l’aritzese come lingua ufficiale, questo automaticamente verrebbe interpretato come “campidanese”, perché anche ad Aritzo l’articolo plurale è is.
Per concludere: il sardo vero, quello parlato, non è diviso in due varietà. A denti stretti lo hanno ammesso sia Giovanni Lupinu che Perdu Perra: come volevasi dimostrare e come ampiamente dimostrato da Michel Contini e dal sottoscritto, ma anche altri.”


Il dibattito sta proseguendo in modo molto più pacato e, per quanto mi riguarda, si sta cercando adesso di stabilire in modo obiettivo quale sia il rapporto tra le diverse possibilità di lingua ufficiale e la situazione della lingua parlata.



 
 
 

 

 
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