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11/01/2006 Ateras minorias - Sud Tirol

Cùcuros inviolados e baddes isconnotas

de Ferruccio Cumer


Cime inviolate e valli sconosciute.
de Ferruccio Cumer


Ricominciamo a seguire le tracce dei viaggiatori-esploratori anglosassoni in Sudtirolo. Amelia B. Edwards calcò le nostre contrade centotrent’anni fa, nel 1872, e ci lasciò uno splendido diario di viaggio, riccamente illustrato da disegni di sua mano, intitolato “Untrodden Peaks and Unfrequented Valleys - A Midsummer Ramble in the Dolomites” (Londra, G. Routlege and Sons, 1873 circa). La Edwards è un personaggio notevole, degna rappresentante di quelle donne che nello stesso periodo, in Inghilterra, si battevano per la parità dei diritti: parità che lei stessa, personalmente, aveva già sicuramente raggiunto, grazie anche a notevoli possibilità economiche, visto che viaggiò tutta la vita soprattutto in Italia e poi in Egitto, finendo con il diventare un’espertissima e influente egittologa. 

L’autrice conosceva le Dolomiti solo attraverso la descrizione d’altri viaggiatori (in particolare s’era innamorata dell’acquarello di un valente pittore) e progettava il suo viaggio da anni. “Pensavo ad esse ogni nuova estate; le rimpiangevo ogni autunno; e cullavo tenui speranze ogni primavera.”

Ecco come la Edwards descrive la terra da lei agognata, corrispondente all’incirca alle province di Belluno, Trento e Bolzano, che chiama complessivamente (cosa notevole) “Tirolo sud-orientale:

“Ad appena settantadue ore da Londra si trova una rete di valli letteralmente sconosciute, ove si sfugge all’affollamento dei turisti nei grandi alberghi e allo squallore dei pasti negli hotel: la vita nel [vi] si presenta ancor oggi libera da quei disagi che […] hanno reso la Svizzera insopportabile”. Evidentemente nella seconda metà dell’Ottocento tutto il territorio dolomitico veniva considerato pressoché inesplorato; e non si tratta di un’esagerazione, perché in realtà le vette erano in gran parte inviolate, nelle valli l’attività turistica era in embrione e i rarissimi viaggiatori affrontavano a volte disagi da terzo mondo.

In quell’epoca una parte del territorio dolomitico apparteneva già all’Italia, mentre l’odierno Trentino-Alto Adige, naturalmente, era austriaco. Alcuni degli aspetti più curiosi del diario sono rappresentati proprio dalla facilità con cui la Edwards e la sua amica L. superano il confine fra i due stati, spesso addirittura non sorvegliato; da affermazioni come “Ho sentito raccontare come italiani e austriaci siano oggi i popoli più amici del mondo: certamente lo sono in queste piccole comunità di frontiera dove c’è un continuo contatto reciproco”, che ci fanno riflettere abbastanza tristemente sul nostro presente, dove spesso la caduta delle barriere è più formale che sostanziale; e dai giudizi su paesi e paesani che, anche quando vivono vicini, mostrano indole, costumanze, attività varie e diversissime. Amelia parla inoltre con disinvoltura di geologia, archeologia, delle tele di Tiziano che incontra nel suo vagabondaggio in Cadore, di botanica (interessanti per gli studiosi le piante che elenca, rare già in quei tempi nella regione dolomitica).

L’”esplorazione” vera e propria inizia a Longarone, tocca attraverso tortuosissimi giri Cortina, Pieve di Cadore, Auronzo, Caprile, Agordo, Primiero, Predazzo, la Val di Fassa, la Val Badia, la Val Gardena e termina a Bolzano, dove le due amiche si concederanno un periodo di meritato riposo.

Cortina, con le guglie che la circondano, appare un “luogo pieno d’incanto” e deliziosi nella loro ospitalità sono personaggi dai nomi ancora oggi conosciuti (Ghedina o Siorpaes…) e in generale tutti i valligiani, “civili e garbati”, che salutano gli stranieri con cordiali “Buona sera” o “Guten Abend”. Secondo l’autrice le montagne che circondano Cortina sono le più belle fra le Dolomiti e le descrive, come d’altronde quasi tutte quelle che incontra, con grande accuratezza, citando anche gli scalatori che le hanno conquistate. A Cortina e poi lungo il tragitto traccia poi vivaci descrizioni di villaggi, vallate, picchi, tipi umani, usi e costumi, tradizioni, sagre: “Che folla variopinta! Che scena intensa e allegra! Che confusione di voci, lingue, musica, campane e spari! Qui tirolesi austriaci di Toblach, Innichen e della Val di Sesto, che parlano solo tedesco; lì tirolesi italiani della zona di Longarone, che parlano solo italiano: là altri dei villaggi di confine che parlano ambedue le lingue o un patois misto, del tutto incomprensibile: e i costumi che indossano sono ancora più vari dei loro dialetti.” (la sagra di Cortina). Evidentemente popolazioni e lingue si mescolavano in maniera molto più varia e disinvolta di oggi, il che non può non suscitare altre accorate considerazioni. 

Ed ecco la Croda Rossa: “Proseguendo verso Toblach, se ci si rivolge indietro a guardare la Croda Rossa, da qualsiasi punto essa assume un aspetto sempre più pauroso: le pareti svettano verticali sopra altre rocce verticali, fino alla cima somigliante a una cupola, al di sotto della quale risalta un gruppo di pinnacoli color sangue. Enormi sbavature rossastre colano lungo le orride pareti come se un truce massacro vi si fosse perpetrato in lontane ere del mondo.”

Altri squarci: “La vista del Cadore […] è fra le più belle che si possono ammirare in questa parte del Tirolo. […] … il paesaggio ha ben poco di tirolese. Da un punto di vista pittorico, direi che il soggetto è squisitamente italiano, maestoso, armonioso, classico.”

Predazzo: “Si narra che gli abitanti siano di ceppo teutonico e completamente austriaci nelle loro simpatie, benché parlino abitualmente l’italiano. Gli abitanti sono molto intelligenti, energici e industriosi […]. Svolgono buona parte dei loro commerci verso il Nord; a questo scopo, ogni anno, viaggiano in Germania, in Ungheria, Transilvania (! Ndr) e Svizzera.”

Particolarmente toccante l’accenno alla Val Gardena: “… inaspettatamente scopriamo che esiste un certo legame fra questo paesino e la nostra prima infanzia.

Mi ritorna alla memoria l’immagine di un cavallino montato su una piccola piattaforma a rotelle, un cavallino che ho amato follemente: nero, con un morbillo di pallini rossi in tutto il corpo, criniera e coda di pelliccia. Ebbene, quel mio giocattolo era fabbricato nel più puro stile della Grödner Thal. E quelle bambole di legno, messe assieme pezzo per pezzo, che si trovavano in ogni misura possibile (dai lattanti di mezzo pollice alle madri alte due piedi), i cui lineamenti regolarmente impallidivano quando lavavo loro la faccia, anche quelle bambole venivano da questa terra.

Così quei deliziosi organetti dalle canne sottili, frutto di un lavoro minuzioso e paziente; le scatole con scene di paesaggio in cui gli alberi a forma di cono e le case dai rossi tetti volevano rappresentare la Valle d’Arcadia. Fra i giocattoli della mia infanzia riconobbi anche l'Arca di Noè in miniatura: una casetta tirolese poggiata sul fondo di una barca e i minuscoli animali che conteneva erano scolpiti con tanta arte da parere molto più vivi e naturali di quelli che popolano gli zoo. E la scimmietta, giunta evidentemente ad uno stadio evolutivo molto vicino a quello dell'uomo, che trascorre la propria vita ad oscillare un bastoncino; i cavalli a dondolo con la seggiolina sul dorso; i carri con i barili incollati e gli eroici, soprannaturali soldatini di legno, tutti con la vita sottile e il naso triangolare. Che gioia ritrovare quei piccoli, assurdi, modesti tesori della mia, e forse pure della vostra, prima infanzia! Essi venivano da St. Ulrich!”

L’Alpe di Siusi: “… questa incredibile e indescrivibile Seisser Alp. Pensate ad una prateria americana che si estenda sopra un pianoro a 5.500, 6.000 piedi d’altitudine, un ondoso mare d'erba alta e fitta sul quale si spanda la luce del sole estivo e si alternino le ombre grigie delle nubi, dove l'aria è pura, stimolante, deliziosa. […] … la Seisser Alp può offrire un soggiorno montano […] assai più soddisfacente […] anche delle altre cento località di villeggiatura di questa meravigliosa parte d'Italia.”

E poi la discesa, e in treno da Campodazzo a Bolzano.

“A Botzen avrà fine il nostro vagabondaggio di mezza estate; lo prolunghiamo indugiando per una settimana in quest’antica città medioevale, e per una settimana le guglie dello Schlern e la gran parete del Rosengarten saranno ancora visibili, al di là dell’Eisack.

Finché potremo scendere ogni sera fino al vecchio ponte dietro la Cattedrale per ammirare il tramonto che infiamma quelle magiche cime, godremo della sensazione di non essercene ancora allontanate definitivamente. Sono le nostre ultime Dolomiti e da quel ponte presto, troppo presto, diremo loro addio.”

Del libro esiste una traduzione italiana, “Cime inviolate e valli sconosciute”, Nuovi Sentieri Ed., Falcade 2002. Bellissima l’edizione, mediocre l’editing, ma il racconto rimane avvincente: non per nulla Amelia aveva raggiunto fama e ricchezza come scrittrice.



Ferruccio Cumer

ferruccio@cumer.it

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