© LimbaSarda 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

02/12/2004 Rassigna de s'imprenta - Unione Sarda 

Come scrivevano gli antichi sardi

di Michele Masala

Sulle prime si rimane spiazzati. «Ecco come scrivevano i nuragici». Sì, vabbè, le solite frasi. Solite ricerche dai risultati sensazionali per dare una stelletta in più ad un popolo che con le stelle ci parlava. E invece no; non si tratta di frasi sparate tanto perché se ne parli. C'è un libro scientifico di seicento e passa pagine; ci sono dieci anni di studi e di viaggi nelle università italiane e pure in quelle francesi. E ci sono quattro tavolette quattro grazie alle quali la scrittura nuragica è leggibile, decifrabile. A tradurle è stato Gigi Sanna, ex professore del liceo classico "De Castro" di Oristano. Una passionaccia la sua verso la storia, le tradizioni e l'archeologia della Sardegna che, una volta in pensione, è diventata un lavoro a tempo pieno. E sabato alle 17,30 nel Museo civico di Cabras Antonio Pinna, docente dell'Istituto di Scienze religiose dell'Università di Cagliari, presenta il risultato del suo lavoro, tutto nel libro Sardoa Grammata ('ag 'ab sa'an yahwh-il dio unico del popolo nuragico), editrice S'Alvure. «Sono consapevole che affermare l'esistenza di un elevato numero di grammata nuragici sembra incredibile ma sono convinto che chi avrà la pazienza di leggere tutto questo testo, compresi i supporti documentari, giudicherà se questa affermazione abbia o meno consistenza scientifica», precisa subito Gigi Sanna. Come nasce questa opera? «È un proseguo della ricerca, iniziata nel 1996 con il compianto amico Gianni Atzori, che portò alla scoperta delle tavolette del Sinis, sui documenti scritti nel periodo nuragico che va dal sedicesimo al decimo secolo avanti Cristo. Tramite delle persone che hanno eseguito alcuni calchi siamo venuti in possesso delle quattro tavolette di Tzricotu - inizialmente erano cinque ma poi abbiamo scoperto che una era la fotocopia di un'altra - delle quali oggi una è esposta nel Museo di Cagliari». In queste tavolette cosa c'è scritto? «Innanzitutto chiariamo una cosa: sono delle opere d'arte alte sei centimetri e con una base di tre e mezzo. Si immagini quindi la bravura di questi scrittori e la difficoltà della traduzione. Il contenuto delle iscrizioni è ripetitivo e riguarda, in particolar modo, la formula della triplice invocazione "Dio-Toro-Padre", frase rituale canonica che può essere o meno variata ed ampliata da qualche appellativo e da qualche nome. Un Dio Toro che per i nuragici non voleva significare banalmente che il dio-padre avesse le fattezze di un toro ma che alludeva alle fondamentali qualità "mostruose" del Padre, fecondatore, celeste, luminoso. Oltre al nome di Dio, ripeto, sono presenti anche quelli di persone, ma anche queste rientrano nella sfera del divino perché sono i nobili figli del dio». Quindi si leggono anche nomi e cognomi? «Esatto. I figli di Dio nel Sinis hanno sempre l'appellativo di gghnloy. Ognuno di essi è cioè gigahntuoloy; persone, con ogni probabilità, della stirpe dei nefilim di cui parla anche il libro della Genesi». Ma come mai dalle tavolette di Tzricotu si arriva all'alfabeto nuragico? «Proprio per il tema trattato in maniera ripetitiva. Così si è riusciti non solo a decodificarle ed interpretarle ma anche a decifrare numerosi altri documenti che per la loro stranezza, dovuta al mix alfabetico di tre tipologie diverse, sono stati respinti o interpretati in maniera del tutto soggettiva». Un esempio? «Il brassard di Locci Santus le cui chiare lettere protosinaitiche e paleocanee sono state ritenute numeri romani o simboli giudaico-cristiani e i segni logografici e pittografici interpretati addirittura come strani pastori cruciformi che conducono al pascolo strane pecore dalla testa taurina. E invece sa cosa vuol dire? "Bidente di Lui sole Toro padre"». Quindi il tema delle tavolette è esclusivamente religioso. «Diciamo che sono state fatte come un "sigillo" che, con ogni probabilità, non era ad uso pubblico ma privato, attinente alla sfera della magia e della superstizione nuragica nell'aldilà. Una sorta di garanzia della regalità del defunto al cospetto del Dio padre; un'attestazione di "autenticità" dell'identità della persone. Ma attenzione, anche i nuraghi hanno un forte significato religioso». Anche i nuraghi hanno a che vedere col Dio? «In generale questa è una civiltà che abbonda di scrittura per il semplice fatto che fare un oggetto o un monumento come il nuraghe o una tomba dei giganti o un pozzo sacro voleva dire il più delle volte scriverlo foneticamente e secondo una precisa serie alfabetica. La parola e i numeri sacri erano la manifestazione del Dio e ne rivelavano la presenza costante. E tanto per sottolinearlo, nella tavolette di Tzricotu il nuraghe, il pozzo sacro e la tomba dei giganti si possono leggere tranquillamente. Non basta però: la grandezza dei nuragici è stata proprio quella di escogitare un monumento adeguato alla grandezza di Dio. Così come la Piramide o il Ziqquarat». Una scoperta questa che non riguarda solo la scrittura. «Direi proprio di no. Un altro documento ritrovato da noi, costituito da un concio della chiesa di San Pietro di Bosa, mostra in maniera inequivocabile che il dio nuragico era anche srdn e cioè "signore giudice". Ora, poiché questa voce è ripetuta anche nei documenti arcaici nuragici altre tre volte (e in una inoltre è un appellativo di un figlio del Dio), l'attestazione dimostrerebbe che nuragici e srdn erano lo stesso popolo. Non si tratterebbe quindi di Sardiani venuti dalla Lidia alla fine del secondo millennio avanti Cristo ma degli antichi semiti, di stirpe caldea, accadica e siro-palestinese, giunti in più ondate in Sardegna verosimilmente a partire dagli inizi del secondo millennio a.C». La domanda sorge spontanea: ma è sicuro di quel che dice? «Sì, perché quello che dico si basa tutto su testi scientifici. Se ciò che c'è scritto nel mio libro non corrisponde al vero anche i testi scientifici vanno rivisti. Certo, qualcosa che si può migliorare c'è, è normale. Può essere sbagliato qualche dettaglio ma nel complesso sono sicuro di quello che dico. E le dirò di più, non sono il solo. Sabato sera alla presentazione del libro che, ci tengo a sottolinearlo, è curata da Antonio Pinna, ci saranno anche professori universitari francesi. E sa perché? Perché col codice delle tavolette di Tzricotu è possibile iniziare a "tradurre" anche quelle di Glozel, che dal 1924 sono rimasti oggetti misteriosi. Ma questa è un'altra storia». Michele Masala

01/12/2004


Le reazioni 
Scienziati e scrittori? «Ci sarebbe ben poco da stupirsi»


Lo scetticismo c'è. È palpabile e molto probabilmente anche normale, giustificato. Che proprio un appassionato di lingua, storia e archeologia della Sardegna abbia trovato la "formula" scientifica per tradurre le scritture nuragiche che vanno dal sedicesimo al decimo secolo avanti Cristo lascia un po' perplessi. Lo scetticismo dei luminari sardi però si mischia anche alla speranza che possa realmente essere così. Che i padri dei nostri padri oltre ad essere abili matematici, architetti e scienziati in genere fossero anche ottimi scrittori aprirebbe nuovi scenari alla storia dell'Isola. Giorgio Murru, archeologo nonché presidente della cooperativa Icnusa e curatore del Museo civico di Laconi, precisa immediatamente di non essere un linguista. «Sono uno strutturista e come tale posso tranquillamente affermare che i circa novemila nuraghi che si trovano in Sardegna sono stati costruiti da grandissimi architetti che i conti li sapevano fare eccome. I progetti dei nuraghi hanno alla base un calcolo matematico per nulla semplice. E questo non può che dimostrare la grande civiltà dei nuragici. Detto questo, il fatto che sapessero o non sapessero scrivere nulla toglie alla loro grandezza». Potrebbe però essere la classica ciliegina su una torta abbondantemente farcita. I nuragici fanno i conti, sanno costruire e sono anche eccelsi scrittori. Perché no, potrebbe essere. «Certo che sì, ci mancherebbe. Ma guardi, non ho alcun dubbio che sapessero scrivere e non mi crea proprio alcun imbarazzo crederlo, visto che ad esempio per costruire il complesso di Barumini hanno saputo impiegare, e il risultato lo possiamo ammirare anche oggi, ben dodicimila metri cubi di basalto. Per una civiltà così ottimamente organizzata ritengo quasi normale venisse utilizzata la scrittura». A proposito dei nuraghi e del loro significato Giorgio Murru sottolinea che «sono delle magnifiche costruzioni che possono essere interpretate in mille modi: ideologico, religioso, spirituale, politico, di dominanza bellica e pure di forza di un clan dominante. Se mi è consentito i nuraghi erano quello che oggi sono per noi le Torri di New York, né più né meno. Il valore delle Torri americane è lo stesso dei nostri nuraghi». Enrico Atzeni, archeologo e professore di Paleontologia e di antichità sarde dell'Università di Cagliari, Gigi Sanna lo conosce già da qualche anno e aveva sentito parlare di alcuni suoi studi, «anche se non ho mai avuto il piacere di leggere l'altro libro che ha scritto insieme al mio caro amico, oggi scomparso, Gianni Atzori. Uno scambio di battute e nulla più». Non avendo letto Omines delle tavolette di Tzricotu chiaramente ha solo sentito parlare ma «fino ad oggi non si sono trovate prove sulla scrittura dei nuragici. Se comunque il lavoro di Gigi Sanna si dovesse basare tutto su fatti concreti, su testi scientifici, è questa sicuramente una cosa interessantissima, non c'è dubbio alcuno. Però, e ci tengo a sottolinearlo, sino a oggi gli archeologi sardi si sono già espressi: non avendo riscontri non si può parlare di scrittura. Certo, qualcuno nel corso degli anni ne ha accennato, ha provato anche a trovare una sorta di codice ma a oggi basi scientifiche non ne esistono. Gli unici contatti con la scrittura sono legati ai Fenici». E senza prove non si va avanti. Eppure Gigi Sanna scrive il suo libro basandolo tutto su testi scientifici. «Se è così non aspetto altro che poterlo vedere. Peccato che non abbia ricevuto l'invito per sabato sera alla presentazione del suo libro anche se questo fine settimana sono già impegnato. Andarci comunque mi avrebbe fatto enormemente piacere», conclude il professor Enrico Atzeni: «Spero però di poter leggere quest'opera con la dovuta calma e magari se ne potrà riparlare tra qualche tempo». Sembra insomma che tra i professori universitari e i grandi archeologi e linguisti universitari non si aspetti altro che l'uscita ufficiale di Sardoa grammata con la speranza che illumini un aspetto della civiltà nuragica ancora poco conosciuto. (m. m.)

01/12/2004

A segus