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03/12/2004 Archivios - Intellettuales e Identidade

Costantino Cossu: "C’è una Sardegna popolata da cialtroni che fanno dell'identità l'alibi per loschi affari"

Ditelo scrivendo“C’è una Sardegna popolata da cialtroni”. La tradizione? “Un alibi per loschi affari”Costantino Cossu ritiene che la Sardegna abbia perduto l’innocenza. Lo sostiene nel suo libro intitolato, appunto, Sardegna fine dell’innocenza (edizioni Cuec, Cagliari), presentato a Sassari a fine gennaio. Raccogliendo alcuni tra i suoi articoli apparsi su Diario di Enrico Deaglio tra il 1998 e il 2001, Cossu (sassarese, 46 anni, caposervizio delle pagine culturali della Nuova Sardegna) racconta di un’Isola tormentata (o cullata?) dalla tradizione, dove vecchio e nuovo si legano e si aggrovigliano, essendo vittima e carnefice allo stesso tempo. “La Sardegna è piena di cialtroni che fanno dell’identità etnica e culturale la base dei loro sporchi affari”: questo il punto di partenza dell’autore e del dibattito avvenuto durante la presentazione del libro. I relatori, Salvatore Mannuzzu, Manlio Brigaglia e Angelo De Murtas, coordinati dal giornalista Rosario Cecaro, hanno discusso i temi fondamentali sollevati da Cossu: l’identità dei sardi e della Sardegna, la tradizione e la conservazione, la lunghissima transizione che cerca di trascinare l’isola verso la modernità, ma anche tradizione che diventa alibi per la delinquenza. Se qualcosa caratterizza fortemente la Sardegna è certo il forte attaccamento agli usi e costumi del passato che, talvolta, sembrano preservarci e proteggerci dall’aggressività e dallo stravolgimento della novità e del progresso. Brigaglia “di fronte allo sconquasso del presente che ci colpisce e ci spiazza facendoci tendere al rifugio nel passato”, parla di nostalgismo. L’attaccamento alle radici e il rifiuto del nuovo viene testimoniato, secondo Cossu anche e soprattutto da quel grido di “a su connottu” proclamato dai sardi contro la monarchia sabauda che rappresentava in quel momento il nemico ma anche una forma di cambiamento e di modernità. Probabilmente questo è un caso estremo che dimostra il legame dei sardi con ciò che è loro e soprattutto a ciò che sono loro, la reazione e rifiuto di fronte al nuovo, a prescindere dalla sua manifestazione apparente o dal suo fine ultimo. Oggi però - si sostiene - la sottile e impercettibile linea che separa la vera identità da quella oggi spacciata per tale “in nome di a su connottu” viene usata come copertura per “loschissimi affari” che fanno addirittura supporre la nascita di una quinta mafia, quella del centro Sardegna. Certo, il senso dell’identità è molto forte, non si può prescindere da esso né rinnegarlo. A proposito di questo Salvatore Mannuzzu afferma che “non c’è innovazione senza tradizione, anche se oggi c’è mistificazione della tradizione che però, non può e non deve essere un alibi per nessuno”. È proprio in virtù del preservare e preservarsi che nascono i problemi di fronte a un progetto come quello del Parco del Gennargentu. Forse è semplice (e magari anche lecito) pensare che questo non si realizzi perché i pastori si ribellano a quello che considerano un furto di fronte ai loro occhi, della loro terra rubata, ancora una volta, da chi non capisce e non rispetta il costume antico, sconvolgendo equilibri secolari. Ma chi ha vero interesse a reggere quegli equilibri, per Cossu sono “quelle poche famiglie di prinzipales, ovvero di ricchi pastori possidenti, che impongono con la violenza la loro volontà a una maggioranza silente solo perché spaventata”. E “il Parco non si fa per una strumentalizzazione della tradizione”. Non diverso è il caso di Maria Ausilia Piroddi, ex sindacalista della Cgil ogliastrina, prima vittima e poi, forse, carnefice, accusata di essere mandante di una serie di attentati dinamitardi “all’interno di un’organizzazione che, sul modello mafioso e camorristico, ha puntato al controllo del territorio attraverso la violenza”. Proprio questo tipo di organizzazione e di “mentalità” hanno fatto pensare a una di quinta mafia. Questa tesi - affidata in questi mesi alla valutazione della magistratura - non è pienamente condivisa dai relatori. Quando si parla di possibili traffici di riciclaggio di denaro sporco, Brigaglia afferma, tra il serio e il faceto, che “l’aria della Sardegna è talmente pulita che non si può escludere che qui si venga a pulire anche del denaro sporco”. Non crede quindi che si possa parlare di mafia tra i nuraghi. Neanche Salvatore Mannuzzu crede che questa nuova organizzazione criminosa si possa chiamare mafia. “Quella vera stabilisce la pace e i sindaci preferisce eleggerli più che spararli e governa non sulla paura ma sul consenso”. Per Cossu le organizzazioni criminali hanno uomini in Sardegna per i loro traffici, e se anche non si può parlare di vera e propria mafia si deve comunque riconoscere che nelle città più grandi si sono manifestati episodi di tangenti o di un tipo di criminalità tutto sommato nuovo per la Sardegna. 

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