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27/04/2005 Rassinnia de s'imprenta - La Nuova 23.04.2005

Dietro la lingua sarda c’è una cultura veramente creativa

di Nicola Tanda

So che tanti lettori della “Nuova ” si sono chiesti le ragioni per cui il presidente Soru, nella replica al discorso col quale avevo introdotto la giornata conclusiva del Premio Ozieri, si sia dichiarato ‘confuso’. Vorrei spiegarne il perché. Soru nel 2002 fu premiato all’Ozieri insieme al presidente Cossiga, in un momento in cui come modello di imprenditore della new economy sembrava essere capace di aprire ai giovani un futuro che fosse però nutrito dalle proverbiali virtù degli avi, per far uscire l’isola dalla sua annosa crisi politica, sociale e culturale. Giunto a Ozieri domenica scorsa, fiducioso di raccogliere i frutti del consenso di allora, ha invece trovato una platea di poeti, scrittori e intellettuali più critici e disincantati. Poeti figli ed eredi della nobilissima tradizione letteraria che negli anni Cinquanta e Sessanta aveva prodotto una poesia in grado di coinvolgere gli strati sociali alti e quelli più umili. Poeti colti, dunque, e poeti che la tradizione orale inizialmente aveva alimentato. Fu, quella di allora, un’operazione di grande significato che rimise in discussione il modello culturale che la società degli anni Sessanta e perfino i “Novissimi” contestavano: la monocultura industriale e l’omologazione. Il vero “Progetto Sardegna”, dunque, era quello di poeti, intellettuali ed artisti che avevano saputo leggere con intelligenza l’anima e i linguaggi del nostro popolo. Oggi, purtroppo, non si riesce ancora a comprendere che la cultura sarda è il risultato della produzione creativa e comunicativa dei linguaggi, verbali e non verbali, che la lingua sarda ha veicolato nel tempo. Poesia, canto, musica, artigianato, architettura, paesaggio, cibo “sono” lingua sarda; espressioni del sistema di segni comune a tutti i sardi. Il popolo che è cresciuto alla scuola dell’Ozieri e dei premi sorti su quel modello nell’Isola e fuori, ha di tutto ciò vera consapevolezza. La stessa che ha ispirato la Carta europea delle lingue e dei saperi, la legge regionale 26 del 1997, la legge nazionale 482 del 1999, che costituiscono la linea portante di un progetto di sviluppo culturale dell’Unione Europea volto alla valorizzazione delle specializzazioni culturali e dei saperi che i vari popoli, con e senza Stato, hanno maturato in un percorso millenario. Un immenso patrimonio destinato a dare un nuovo orizzonte di senso alle azioni individuali, creative e produttive, di ogni pur piccola comunità. Queste conclusioni poggiano le fondamenta sugli orientamenti del pensiero e della ricerca che hanno attraversato tutto il Novecento. La diffusione delle nuove teorie linguistiche, antropologiche ed estetiche ha contribuito a far emergere una rappresentazione della Sardegna profondamente diversa da quella dei secoli precedenti. La lingua sarda su cui insiste l’asse semiotico della nostra cultura plurilingue costituisce, dal punto di vista simbolico, un motivo che legittima in quanto minoranza storico linguistica una visibilità nuova della Sardegna fra le regioni dell’Unione Europea. Tanti maitres à penser e scrittori che circondano il Presidente hanno opinioni diverse da queste ma, secondo pratiche note e tanto desuete da far sorridere, fanno di tutto per far apparire le proprie come le uniche e le più titolate. Indottrinato da fonti ostili alla dottrina predicata dal Premio, ma informato ad Ozieri che Dante nel canto VI del Purgatorio è sarcastico con chi non chiamato corre alla politica e si sobbarca il “comune incarco” e spregiando verità e giustizia genera divisioni insanabili, era naturale che Soru fosse almeno confuso. Il sardo non va solo parlato. Va anche valorizzato e tutelato. E questo lo devono fare i politici. “Si no b’hat omine”, se non c’è consapevolezza del modo di essere e di comunicare proprio della società sarda, non si può affrontare con animo fiducioso il futuro. Mi auguro che il Presidente capisca che i suoi consiglieri culturali rischiano di affossare la cultura sarda. Essi dovrebbero usare un linguaggio più prudente nel polemizzare. Chi si assume il compito di governare deve, come scrive Dante, distaccarsi dai rancori delle parti. Specie se si tratta di un bene quale l’avvenire dei nostri figli. ( La Nuova Nuova Sardegna del 23 aprile 2005 a proposito del Premio Ozieri 2005) 

A segus