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08/03/2005 Rassigna de s'Imprenta - www.godotnews.it

Una consulta inutile e dannosa

de un operatore culturale

Caro Godot,
se qualcuno aveva bisogno di avere sotto gli occhi la dimostrazione che oggi in Sardegna il mondo della politica e dello spettacolo vivono nei loro rapporti un momento di estrema confusione, penso che l’abbia avuta partecipando a Cagliari all’incontro organizzato dall’assessore regionale Pilia. Un incontro tanto atteso quanto modesto per i risultati, che ha evidenziato l’assenza di un progetto culturale da parte di questa giunta e l’inadeguatezza (per non dire i sensi di colpa) degli operatori di un settore che da troppo tempo stanno usando la politica come alibi per coprire i propri limiti artistici, organizzativi e progettuali.

Già in campagna elettorale non poteva passare inosservata la pochezza del programma della coalizione di centrosinistra riguardante la cultura e lo spettacolo. Pochi paragrafi buttati giù chissà come e chissà da chi, totalmente inadeguati a rispondere alle esigenze di un settore da troppi anni mortificato dall’assenza di programmazione e regole certe.

Nonostante questa palese inadeguatezza, centrosinistra e cultura hanno stretto l’ennesimo patto di collaborazione. Ma in assenza di un vero dibattito (cioè basato su proposte serie), ognuno ha pensato di essere più furbo dell’altro. Soru ha evitato ogni confronto, limitandosi a usare gli artisti come testimonial delle sue feste elettorali; gli artisti hanno evitato di sollecitare il dibattito, sperando che il candidato una volta diventato Presidente li avrebbe gratificati in qualche modo (cioè inondandoli di soldi).

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: deludente, per non dire sconcertante. Perché l’incontro dell’Ersu avrebbe avuto senso solo in campagna elettorale. Dire oggi ai rappresentanti di un settore esasperato dall’incertezza 'fatemi una proposta, io sto qui ad ascoltarvi' significa solamente abdicare clamorosamente al proprio ruolo di indirizzo politico. Significa che sui temi dello spettacolo, il centrosinistra non ha ancora alcuna concreta proposta da fare. Significa che sono passati nove mesi dalle elezioni e l’assessore ancora 'attende indicazioni', quando sarebbe molto più corretto avere da lei un’idea su come intende operare, e non delegare agli operatori (diversi per sensibilità, capacità imprenditoriali, settore d’appartenenza e via distinguendo) nientemeno che la proposta epocale di criteri più equi per la ripartizione dei fondi. Un paradosso: come se le associazioni avessero chiesto all’assessore di cantare, ballare o recitare. Non è il suo mestiere, ovviamente. Ma nemmeno agli artisti deve essere chiesto di saper fare gli assessori.

L’idea della Consulta è frutto di questo fraintendimento. All’Ersu c’erano attori, musicisti, pittori, editori, danzatori, fotografi, fumettari, coristi, organizzatori di rassegne, di eventi di livello cittadino, provinciale, regionale, nazionale e internazionale, dilettanti e professionisti. Come si possa tirare fuori da questo magma ribollente una qualunque delegazione rappresentativa del settore (chiamata, peraltro, ad affiancare l’assessore nelle sue strategie, in modi ancora tutti da decifrare) denota nel migliore dei casi un grande ottimismo, nel peggiore una enciclopedica ignoranza del settore.

Di fronte al deserto progettuale si erge paradossalmente a 'buona notizia' l’annuncio che i tagli passeranno dal 55 al 20 per cento. Come se questa non fosse una percentuale ugualmente sconcertante, insensata, frutto di un ragionamento meramente contabile, senza una analisi che la giustifichi, senza uno studio che consenta di apprezzarne gli eventuali benefici. Dopo i contributi a pioggia, i tagli a pioggia. Ugualmente inutili, doppiamente dannosi.

Ma se la situazione è così drammatica, perché gli operatori non protestano come si dovrebbe? Perché a Roma si è scesi in piazza per un taglio deciso dal centrodestra di 'appena' del 7 per cento al Fondo Unico per lo Spettacolo e a Cagliari un esecutivo di centrosinistra taglia il 20 per cento e non succede praticamente nulla? 

Alcune possibili interpretazioni. La prima: protestare contro questa giunta significherebbe ammettere di aver fatto un clamoroso errore di valutazione politica, se non altro limitatamente al settore della cultura. E ammettere di aver sbagliato non piace mai a nessuno (soprattutto a chi, come gli artisti, si ritiene molto intelligente…).

Ma è vero anche che se una protesta chiara e dura non dovesse portare a un significativo cambio di rotta, esporrebbe i 'dissidenti' al rischio di una ritorsione da parte della politica e degli stessi compagni di strada (come abbiamo visto all’Ersu, dove l’intervento di Francesco Origo, distintosi per una lucidità proporzionale alla durezza, ha scontentato molti). In questa situazione meglio aspettare. E non rischiare (e infatti anche io non mi sogno di firmare questo intervento).

Ma c’è chi pensa ancora di cavarsela con i vecchi metodi, sacramentando in privato e sorridendo in pubblico, e magari stazionando permanentemente in Consiglio per fare la posta ad onorevoli che una volta (una volta, oggi chissà) potevano anche spostare nel giro di una notte decine di migliaia di euro a favore di questo gruppo o quell’altro. C’è ancora chi trama nell’ombra, peraltro a volto scoperto. Riusciranno a cavarsela anche stavolta?

Eppoi ci sono quelli con i sensi di colpa. Perché la cultura e lo spettacolo non hanno fatto nulla in questi anni per migliorare la loro offerta. Ad un certo punto si sono arresi, assecondando la politica in tutte le occasioni possibili e immaginabili, stringendo scellerati e nauseabondi patti di non aggressione. Per questo, in fondo, parte degli operatori sa che i tagli sono giusti, sacrosanti, meritati. E si offre arrendevole al boia.

Ma c’è taglio e taglio. Ed è inutile invocare criteri raffinati di ripartizione dei fondi quando poi chi dovrà adottarli in nove mesi di governo non ha ancora dato un solo segnale di sensibilità, accettando supinamente una proposta di taglio surreale (cinquantacinque per cento!), mutilando i fondi all’editoria (che pure erano tutelati da una legge e da una decisione del Consiglio), offendendo pubblicamente gli operatori fin dalle prime uscite ('basta con i questuanti della cultura!'), ponendo come assoluta priorità una legge sul cinema di cui pochissimi (e forse il punto è proprio questo) sentivano la pressante necessità. È eccessivo, a questo punto, dire che abbiamo perso nove mesi di tempo? 

In mezzo a questo marasma, spunta come dal nulla una proposta di legge sullo spettacolo presentata dall’onorevole Simonetta Sanna. La signora ha iniziato a farla circolare in queste settimane. Chi ha avuto modo di leggerla l’ha trovata incompleta. Ma questo è solo il male minore. Perché la sensazione è che pochi nel Consiglio di via Roma abbiano veramente a cuore lo spettacolo e la cultura. Perché pochi ne conoscono i meccanismi, nessuno ha presente in che modo la Regione interviene nel settore.

La riprova si è avuta in queste settimane, quando a frotte gli operatori sono andati in pellegrinaggio in Consiglio regionale per chiedere agli onorevoli di intercedere presso il presidente e l’assessore. Da soli, a gruppi, si sono confessati pensando di avere di fronte degli interlocutori con un minimo di conoscenza del settore. Invece niente: hanno dovuto spiegare tutto dall’inizio. Gli onorevoli hanno ascoltato, straniti, distinguendo a malapena tra teatri di prosa e di ricerca, di figura e di tradizione, annaspando tra fideiussioni, interessi passivi, leggi regionali e nazionali, decentramento e teatri da completare. Sparando di tanto in tanto solenni baggianate, perché è difficile in un’ora capire in che razza di guaio si è ficcato lo spettacolo in Sardegna.

Ecco, se c’è qualcosa che unisce politici e operatori culturali in questo momento è la volontà di recuperare il tempo perduto. La povera Pilia sconta tante colpe (qualcuna non sua), ma nove mesi non sono nulla di fronte agli ultimi dieci quindici anni (ad essere generosi) nei quali gli operatori hanno accuratamente evitato di dialogare, unirsi, sviluppare strategie comuni. Solo con l’approssimarsi dell’apocalisse, compagnie e singoli artisti hanno cercato riparo dietro le loro associazioni. I risultati non sembrano esaltanti.

In questa situazione di gravissima incertezza l’assessore Pilia si inventa la Consulta. Uno strumento che non ha mai funzionato da nessuna parte, sgangherato, che nasce morto perché nessuno ha ancora capito con quali modalità i singoli soggetti dovranno essere rappresentati (e infatti su questo punto si è rimandato tutto a una prossima riunione,e chissà quando si sarà operativi…).

La Consulta è una palude vietnamita, una colossale trappola. Politicamente, consente solamente all’assessore di prendere tempo e ai gruppi di avere l’illusione che il cambiamento è ancora possibile. La Consulta è un laccio diabolico che si stringerà al collo di tutti noi operatori e non della Pilia che fra qualche mese ci accuserà di essere divisi, di non avere fatto proposte. In pratica, di non essere stati in grado di fare il suo lavoro. 


Un operatore culturale 

A segus