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11/10/2004 Rassigna de s'imprenta / www.sardinews.it

Pilia: "Cultura non é lo studio della lingua sarda"

Troppi i cinici e i questuanti della cultura. Vorrei la Sardegna più presente all’estero.Dopo una campagna elettorale dominata dalla parola cultura, il centro sinistra misura la sua credibilità sull’azione affidata a una donna di 52 anni, sposata, madre di Marta (economista, lavora a Modena) e di Enrica, iscritta a Scienza della comunicazione. Attorno a Elisabetta Pilia, (nella foto), (laurea in Scienze politiche con Danilo Zolo sulla Teoria dello Stato e del Diritto in Antonio Gramsci, dirigente del sistema bibliotecario dell’Università di Sassari) ruota la sfida per liberare la Sardegna da quel macigno di ultima regione italiana nei livelli di istruzione: il più basso rapporto fra popolazione e laureati e diplomati, fanalino di coda nella formazione professionale (il 69 per cento degli occupati non ha una adeguata qualifica), dispersione scolastica record.
Esordio poco esaltante. La scure dell’assessore al Bilancio Francesco Pigliaru si è abbattuta anche sulla voce Istruzione: da 238 milioni di euro a 226, sforbiciata di di 11.986 milioni. Pilia non si perde d’animo: “Il taglio c’è stato e, di questi tempi, non poteva non esserci vista la ristrettezza delle risorse. Ma vanno distribuite in modo più razionale per l’istruzione, la gestione dei beni culturali ma anche per lo sport. Non credo che l’azione della Regione in un settore vitale per i giovani.si possa esaurire con una vagonata di denari al pallone”.

Da dove partire?
“Dal mondo più disastrato, che è appunto quello della scuola. La Regione non ha mai svolto un ruolo attivo di programmazione, non ha esercitato le sue funzioni di indirizzo e orientamento della didattica. I nostri ragazzi studiano le stesse pagine di storia e di letteratura di quelli del Friuli. Cultura non é lo studio della lingua sarda: cultura è investire nella scuola, nelle scuole, qui si trova il vero valore aggiunto del futuro”.
Lei è una neofita della politica istituzionale: entrando al secondo piano di viale Trieste che cosa l’ha esaltata di più?
“L’entusiasmo dei funzionari che vorrebbero lavorare meglio. Apprezzano i segnali di cambiamento nonostante una stampa non amica. Ma avvertono la potenzialità delle idee, delle emozioni, le prospettive di chi si riconosce nei segnali di cambiamento”.
Demoralizzata o no?
“Sì, e molto. Demoralizzata da una teoria infinita di questuanti il più delle volte annunciati da politici e da associazioni. Il numero dei questuanti – che non producono cultura- è elevato. Dà il segno del passato, dei molti governi di destra e di quelli di sinistra. Questo assessorato è stato concepito come un ente erogatore di finanziamenti, di progetti per nulla omogenei fra loro, non sempre riconducibili a un progetto politico . Veniva finanziato tutto, basta vedere i sotterranei della Regione invasi da libri mai letti e pagati due volte: prima per stamparli poi per acquistarli. Si può, si deve innovare. Anche con i tagli di bilancio si possono fare scelte oculate, che vadano in quella direzione culturale di cui ho già parlato”.
E per lo sport?
“È un canale fondamentale che supporta l’attività di aggregazione. Col marchio Terra Sarda sulle magliette dei calciatori, dei ciclisti o di chicchessia non si veicola né la cultura né la storia della Sardegna. La aziende sportive dovranno aguzzare il loro ingegno, troppo comodo esibire un conto a pie’ di lista. Sport non può essere solo sponsorizzare il Cagliari o la Torres. Sport è altro, è crescita sociale, è aggregazione”.
Tema tremens: la dispersione scolastica.
“Certo, tremens. Vorrei sperimentare i distretti formativi per recuperare chi lascia gli studi e non arriva al diploma. Vorrei che scomparisse il digital dividing. Il canale privilegiato non può che essere la scuola pubblica, quella statale. Poi c’è la formazione che talvolta vale più della scuola tradizionale. Stiamo cercando vie d’uscita da un labirinto di enti muti fra loro. Dobbiamo puntare sulla qualità dei formatori, i titoli rilasciati devono essere utili al mondo del lavoro, il raccordo con le imprese è fondamentale. Finora le competenze sono sparse anche fra assessorati ugualmente muti: come si fa a varare un piano di formazione professionale senza che l’assessorato al Lavoro discuta con quello dell’Industria, del Turismo, dell’Ambiente? Le monadi non servono”.
In concreto che cosa pensa di fare? Quali sono i suoi vorrei?
“Vorrei metter mano a una vera legge sull’editoria premiando la qualità non la quantità. Vorrei coordinare il circuito dei festival divulgando per tempo un catalogo degli eventi, lasciando autonomia agli organizzatori. Vorrei far girare il teatro di strada. Vorrei musei stabili regionali. Vorrei continuare a finanziare Tavolara, Gavoi, il jazz, dare una veste più moderna alla fiera del libro di Macomer, valorizzare Francoforte, Torino, Parigi. Vorrei esser presente al festival della letteratura di Mantova. Mi piacerebbe far rete con gli Istituti italiani di cultura perché dobbiamo farci conoscere di più all’estero, anche col patrimonio dei filmati di cui la Regione e la Sardegna dispongono a partire dalla Rai e dall’Umanitaria. Ma oggi la priorità è la scuola. In questo campo noto una energia politica che ci aiuta in questo ridisegno della cultura. La Sardegna ha una vivacità frizzante e la Regione deve tenere alta questa tensione creativa”.
Una scommessa ambiziosa.
“Non è una scommessa mia o di Soru, ma della Sardegna. Siamo una regione a rischio, dove in politica prevale spesso il cinismo puro. Non credo che questo sia un valore da coltivare. La Sardegna di oggi ha dimostrato di credere in altri valori”. 


A segus