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20/05/2004 Per una Politica Liberale che garantisca i cittadini che parlano il sardo

Lettera Aperta all’Assessore alla Cultura, Elisabetta Pilia

de Enrico Chessa-Queen Mary, University of London

Tanto la campagna elettorale di Sardegna Insieme quanto la formazione della nuova Giunta Regionale si caratterizzano per dei chiari segnali di politica liberale. Da una parte il listino della coalizione composto esclusivamente da donne, dall’altra una divisione equa degli assessorati tra i due sessi. Delle scelte assolutamente condivisibili, dal momento che le donne si trovano, politicamente, in una situazione di svantaggio rispetto agli uomini: c’e’ ancora oggi, purtroppo, una distribuzione poco equilibrata delle cariche pubbliche. E’ quindi da applaudire l’applicazione di norme tendenti a sanare ingiuste differenze sociali. La Discriminazione Positiva, principio contemplato dalla filosofia liberale e, in certa misura, adottato dal Presidente Soru, (ri)dara’ al gruppo meno privilegiato –l’insieme dei cittadini di sesso femminile- piu’ rappresentativita’ politica, garantendo cosi’ uno dei principi fondamentali del liberalismo: l’uguaglianza. C’e’ da aspettarsi ora che il Governo appena formato continui su questi passi, all’insegna cioe’ di una politica che abbia un occhio di riguardo per i (membri dei) gruppi meno privilegiati. Ed e’ proprio per questo che, appunto, le scrivo. Lei sa benissimo, assessore Pilia, che coloro i quali oggi in Sardegna parlano il sardo (cosi’ come coloro che parlano il Gallurese, il Sassarese, il Catalano, e il Tabarchino), o coloro che, magari, con la lingua sarda soltanto si identificano, rappresentano un gruppo minoritario in situazione di grande svantaggio rispetto agli italofoni, il gruppo di maggioranza: c’e’ troppo divario, infatti, tra lo status che riveste il sardo e quello che invece riveste l’italiano. La conseguenza di questo stato di cose e’ che, mentre l’italiano si e’ ormai consolidato in Sardegna, il sardo tende a perdere parlanti. Noi, che invece ci auguriamo che il numero di parlanti cresca, vorremmo che si attuassero dei provvedimenti che ci aiutino a crescere –socialmente, economicamente, politicamente, culturalmente, … -, e che ci si conceda il diritto, il dovere, ma soprattutto la possibilita’, di utilizzare il sardo (e le altre varieta’ linguistiche presenti in Sardegna) in diversi ambiti, sia pubblici che privati. E questo e’ un compito –impellente- del quale deve farsi carico l’Amministrazione Pubblica, e lei in primis. Dalle sue prime dichiarazioni, rilasciate ad una emittente televisiva sarda, pero’, non traspare a mio avviso una ferma volonta’ ad affrontare il problema. Spero di interpretare male le sue parole –e se cosi’ fosse le chiedo scusa-, ma mi sembra di capire che lei, addirittura, attribuisca alla lingua sarda un’importanza minima. Sostanzialmente, lei sostiene due cose: a) che dara’ priorita’ all’istruzione e alla conoscenza e b) che il sardo e’ importante ma che ci sono altre cose che contano di piu’. I due punti, come vedremo, sono in contraddizione tra loro. Ma isoliamo, per il momento, una delle due dichiarazioni –la seconda-, per definirla. Cio’ che dice –a parte essere poco incoraggiante e sconfortante- e’, in certo qual modo, illiberale. Non e’ infatti il sardo in se’ e per se’ che puo’ essere considerato (piu’ o meno) importante. Importanti sono, invece, i cittadini sardi che il sardo lo parlano o lo vorrebbero parlare, nei confronti dei quali lei, assessore, dovrebbe avere delle attenzioni particolari. Per diverse ragioni: in quanto membri di un gruppo minoritario svantaggiato; perche’, per coerenza con la linea politica del suo governo, si presuppone un suo atteggiamento liberale che tenda ad annullare tale situazione di svantaggio; e perche’ lei, che per prima –in quanto donna- ha beneficiato di tale politica, dovrebbe avere piu’ sensibilita’ ed essere piu’ solidale verso i (cittadini dei) gruppi meno privilegiati. Adesso, brevemente, cerchero’ di argomentare la mia posizione. Alla base del Liberalismo c’e’ la priorita’ morale dell’individuo (al di fuori dell’individuo, cioe’, non c’e’ niente che abbia dignita’ morale), e tutti gli individui sono importanti in egual misura. Quindi, se io fossi anche l’unico sardoparlante in vita lei –in qualita’ di amministratore- dovrebbe esprimere per me preoccupazione –perche’, in quanto parte di una minoranza, soffro e ho frustrazioni- e rispetto –mi dovrebbe garantire, cioe’, le condizioni che mi permettano di decidere liberamente e autonomamente che traiettoria (culturale) di vita seguire, e la possibilita’ di modificarla o metterla in discussione quando io lo ritenga opportuno. Come cittadino, cioe’, dovrei disporre di tutta una serie di alternative –in termini di capitale sociale, simbolico, economico, culturale, ecc.- le quali valutero’ serenamente e tra le quali liberamente faro’ le mie scelte. Se solo una di queste alternative disponibili mi venisse negata, io diventerei un cittadino frustrato e triste e chi mi governa un pessimo governante. Le condizioni di cui sopra mi daranno la possibilita’, quindi, di poter ‘elaborare’ la realta’ e di poter scegliere –tra tutte le idee di bene a disposizione- la ‘strada’ che piu’ mi convenga. E siccome la realta’ la percepisco, la analizzo, la elaboro … a partire dalla lingua –il mezzo col quale vengono veicolati istruzione, conoscenza e sapere- e dalla storia, l’identita’ diventa una condizione necessaria per poter prendere coscienza delle diverse traiettorie da seguire e poter vivere cosi’ la miglior vita possibile. Va da se che, se l’identita’ linguistica e culturale viene minacciata, a rischio sara’ anche la possibilita’ di poter scegliere la traiettoria (culturale) di vita che a me sembri piu’ soddisfacente. Ed e’ altresi’ ovvio che la soluzione non puo’ essere quella di offrirmi una lingua ed un’identita’ alternative, perche’ cio’ di cui io ho bisogno e’ la mia cultura e la mia lingua, non una cultura qualsiasi. Come vede, assessore, parlare di istruzione e sapere e’ estremamente importante e nobile da parte sua ma per me, cittadino sardo, la conoscenza avra’ un valore minimo se veicolata e trasmessa facendo uso di strumenti culturali non autoctoni. Credo, quindi, sia perentorio lavorare per la salvaguardia del sardo e perche’ questo diventi strumento e mezzo di comunicazione in (quasi) tutti i settori sociali, pubblici e privati: dall’amministrazione all’istruzione, dai mezzi di comunicazione al lavoro, dalle societa’ sportive ai circoli ricreativi, dalla letteratura alla toponomastica, dai menu’ dei ristoranti ai concorsi pubblici, e cosi’ via. Come membro, non per scelta ma per circostanze –storiche, sociali, politiche, economiche, ecc.-, di una minoranza svantaggiata chiedo, dunque, che il suo assessorato si doti di un ufficio di Politica Linguistica e che elabori un progetto di recupero del sardo e delle altre varieta’ presenti nel territorio. Un’iniziativa di questo tipo avra’ il pregio di correggere e compensare lo svantaggio in cui mi trovo, ed offrirmi cio’ che invece ai membri del gruppo maggioritario e’ gia’ stato garantito. Spero, adesso, che il pessimismo che traspare da queste righe venga annullato e che le mie perplessita’ sulle sue intenzioni siano radicalmente smentite. Sarei ben lieto se dichiarasse pubblicamente che ha a cuore le sorti dei cittadini sardi che parlano sardo o che vorrebbero parlarlo, e che si adoperera’ per soddisfare le loro esigenze, in quanto membri di una comunita’ culturale da lei amministrata. Se cosi’ non fosse, se cioe’ tutto questo non si verificasse e le mie perplessita’ fossero fondate, a me non rimarrebbe altra alternativa che quella di continuare a reclamare i miei diritti (in quanto cittadino trattato in modo non equo). A lei e al suo governo, invece, quella di abbandonare il liberalismo come filosofia politicomorale o ammettere di adottarlo in alcuni casi ma non in altri. Ad ogni modo le auguro, sinceramente, un buon lavoro.

 -Enrico Chessa-

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