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CHISTIONES

11/06/2007 
Sa “Comissió per la normalització” de su catalanu in S'Alighera e sos deretos de sos sardos
[de Enrico Chessa]

Sebbene di recente costituzione, la commissione per la normalizzazione dell’algherese si presta già ad una severa critica. Oggetto della quale sono i suoi presupposti ideologici. La <<comissió>> sembra infatti nascere sulla spinta dell’accanimento contro qualcosa o qualcuno, piuttosto che dalla legittima e condivisibile volontà di tutelare l’algherese. Dei tre punti programmatici elaborati dai commissari, infatti, due hanno come solo obiettivo quello di rendere l’algherese unica minoranza da tutelare all’interno dei termini amministrativi di Alghero (http://www.algheronotizie.it/articoli.php?id_articolo=3911).



Sulla scorta di un minimo di conoscenza della storia (linguistica) di Alghero, è facile sostenere l’inutilità di tale obiettivo, posto che l’algherese non è (mai stato) minacciato da altre minoranze, quanto dalla forza e dalla <<prepotenza>> dell’italiano. Va da sé che il desiderio smisurato (due punti programmatici su tre!) di impedire ad altri (fondamentalmente, alla minoranza di lingua sarda) di dotarsi di strumenti di tutela è dettato da una preoccupazione che rasenta il razzismo più che da una minaccia reale. 



E potrei benissimo fermarmi qui: il razzismo e l’intolleranza non hanno bisogno di ulteriori commenti. Preferisco invece articolare meglio il mio disappunto e argomentare le mie considerazioni, anche se in modo schematico, sulla base dei tre punti seguenti:



1) i due punti del programma ai quali faccio riferimento non hanno nessun supporto giuridico (paradossalmente, le stesse leggi di tutela – 482/99 e 26/97 –, che la commissione richiama a sostegno dell’esclusività culturale, assecondano la mia posizione, non la loro); 

2) la posizione dei commissari è illiberale, quindi inaccettabile; 

3) le minoranze dovrebbero solidarizzare per far fronte all’ingerenza delle culture dominanti. 



Affermare – così come affermano i commissari – che l’algherese debba essere l’unica minoranza da tutelare, perché così obbligano le leggi sopraccitate, è falso. Né la legge della Repubblica italiana – 482/99 – né quella della Regione Sardegna – 26/97 – impongono restrizioni linguistico-territoriali. Sebbene la 482 preveda delimitazioni territoriali in cui la legge diventa attuativa, queste si stabiliscono per definire i confini amministrativi in cui una determinata varietà verrà tutelata. Cioè, non per impedire il riconoscimento (e, dunque, la tutela) di altre minoranze presenti nel territorio. Se così non fosse, ci troveremmo di fronte ad una legge liberticida.



Il riferimento giuridico, al quale erroneamente si rifanno i commissari per tentare di giustificare l’ingiustificabile (l’intolleranza), non può imporre simili restrizioni, posto che una società liberaldemocratica non ammette limitazioni ingiustificate. Il liberalismo moderno ha come fine ultimo quello di garantire il benessere di tutti i cittadini, sulla base del principio dell’equità: tutti gli individui, cioè, sono importanti in egual misura. Ne consegue che non è ammissibile tutelare i diritti di alcuni se si ignorano quelli di altri. Sostanzialmente, ciò vuol dire che tutti i cittadini devono poter disporre della piena libertà di poter scegliere la propria traiettoria di vita. Se tale libertà venisse concessa ad alcuni ma non ad altri, questi ultimi riceverebbero un trattamento iniquo e, quindi, ingiusto.



Le restrizioni che la commissione vorrebbe imporre sono quindi inaccettabili perché, sebbene garantiscano – giustamente – i diritti di alcuni (i catalanoparlanti), negano – ingiustamente – quelli di altri (i sardoparlanti). In sostanza, si vuole impedire ai sardoparlanti di poter disporre della propria cultura e di poter scegliere liberamente il proprio percorso culturale. Disporre della propria cultura è estremamente importante inquanto permette di realizzare la libertà individuale attraverso la scelta (culturale). L’assenza di un contesto in cui siano presenti diverse forme culturali negherebbe valori basilari quali la libertà (i sardoparlanti non avrebbero la libertà di scegliere) e l’uguaglianza (verrebbero trattati in modo iniquo).



Questo stato di cose farebbe passare gli algheresi (e quindi anche me) per una comunità sia ingiusta, sia poco solidale. La solidarietà, in una società che vede pochi gruppi dominanti prevalere ed imporre le proprie regole sulle minoranze svantaggiate, diventa fondamentale per garantire la sopravvivenza dei gruppi subordinati. Nel nostro caso concreto, il sostegno reciproco tra catalano- e sardoparlanti potrebbe tra l’altro attivare delle dinamiche di <<sana competizione>> che possono solo giovare al recupero dell’algherese. Potrebbe trasformarsi, cioè, in una strategia al servizio del recupero del catalano di Alghero.



A questo punto, sulla scorta delle considerazioni fatte, ai commissari non restano che poche alternative. Ovvero: 

1) Abbandonare il progetto della normalizzazione perchè, così concepito, è inammissibile in una società liberaldemocratica; 



2) Ripensare i punti programmatici ed elaborarli su altre basi ideologiche; 



3) Trovare argomenti convincenti che giustifichino un atteggiamento illiberale e intollerante; 



oppure 



4) Avere il coraggio di dire apertamente che la <<comissió>> pone le sue fondamenta su dei presupposti ideologici che sono chiaramente illiberali e intolleranti.



Enrico Chessa

e.chessa@qmul.ac.uk













  




 

 
 
 

 

 
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