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07/06/2006 Sèberos de imprenta - La Nuova 4 làmpadas 2006
Sa limba comuna non bochit is bariedades
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la nuova sardegna 5 giugno 2006

La lingua comune non uccide tutte le altre
Logudorese-nuorese da imparare per convinzione e convenienza

di Nicola Tanda

La questione della lingua è sempre stata difficile per la nazione italiana.
Figuriamoci per la nazione sarda. Fu necessario il ricorso alla letteratura italiana (che pure era il risultato di un insieme di letterature regionali) affinché De Sanctis potesse ricavarne un profilo identitario unitario almeno sotto il punto di vista della letteratura, per realizzare l’unità d’Italia (evidentemente, non degli italiani). Fortunatamente oggi non è più il tempo del De Sanctis, di forze centripete, bensì centrifughe: quelle del federalismo, quelle della letteratura degli italiani con le sue lingue regionali o dialetti, e delle lingue delle minoranze. Le conoscenze linguistiche e glottodidattiche da allora sono cambiate, non in Italia, ma nell’Europa che ha approvato la Carta europea delle lingue e dei saperi, quella delle lingue delle minoranze riprese dalle nostre leggi regionali (26 del 1997) e nazionali (482 del 1999). 
Ma il nazionalismo unitario che ci ha imposto esclusivamente l’italiano continua ancora a far danno. Di recente sul Corriere della Sera a proposito dell’unità della letteratura italiana Tullio De Mauro ha affermato che i due terzi degli italiani sono analfabeti di ritorno. Alludeva evidentemente alla scarsa formazione linguistica e scientifica della scuola italiana. Diversamente, se fosse avvenuta in seno a questa società la rivoluzione linguistica, antropologica ed estetica che è avvenuta nel resto dell’Europa, non staremo oggi a discutere di gallurese e avremo meno problemi ad imparare quattro o cinque lingue come nelle altre scuole europee. Sono i poeti e gli scrittori sardi che hanno mostrato la via e conseguito il consenso diffuso necessario a sensibilizzare trasversalmente tutti i partiti o quasi perché fosse possibile approvare la legge regionale. 

Lo sanno tutti, tranne quelli che hanno remato e remano contro. Le polemiche sul caso della bambina olbiese alla quale i genitori hanno fatto cambiare scuola poiché in classe le veniva impartito l’insegnamento della lingua logudorese e non del gallurese, cioè della sua lingua materna, riportano ancora una volta a galla le ragioni della lingua sarda, più nella loro pars destruens che in quella costruens. Cosicché quella che è una ricchezza finisce per apparire ostacolo.

Tutte le lingue hanno i loro dialetti e i dialetti sono, a tutti gli effetti, lingue. Esemplificando: il rapporto dell’italiano con i suoi dialetti è noto, tuttavia questo rapporto non viene riconosciuto alla lingua sarda come sistema di sistemi, perché nella sua evoluzione è stato interrotto, durante il periodo fascista e dopo, il processo di normalizzazione che il logudorese letterario aveva iniziato da almeno cinque secoli. Il rapporto, dunque, che esiste tra il logudorese e le altre varietà del sardo (come il sardo- corso, ovvero il gallurese) è dello stesso tipo di quello che è esistito tra il toscano e i dialetti italiani. Il toscano ha una solida tradizione scritta, così come ce l’ha il logudorese. 

A questo punto del mio discorso non mi stancherò mai di ribadire una cosa che vado ripetendo da tempo: la lingua parlata non è quella scritta, sono due codici della comunicazione differenti. Per cui la lingua materna è quella varietà nella quale il vissuto di una persona si è linguisticamente e antropologicamente strutturato; la lingua che si è appresa per prima in casa, e lì si parla; la lingua del cuore e degli affetti. L’insegnamento nelle scuole, però, non può prescindere dalla lingua scritta e dal prestigio che le deriva dalla letteratura che essa stessa ha prodotto, che è in massima parte in logudorese. Non diversamente oggi in Italia c’è una forte ripresa dei dialetti poiché dialetti e lingua interagiscono in tutte le situazioni, tranne quelle ufficiali nelle quali si usa la lingua cosiddetta nazionale. 

Così, il logudorese è la lingua della “nazione” sarda, la lingua nazionale, che lascia spazio a tutte le altre parlate. Dunque, tutti dovrebbero non per imposizione ma per convenienza e convinzione imparare una lingua standard, 
il logudorese nuorese ad esempio, nella forma che si sta sperimentando. Dall’uso che se ne farà dipenderà la sua eleganza ed efficacia. Si deve infatti ricordare che l’inno nazionale del Regno d’Italia era “Cunservet Deus su Re” cioè l’inno nazionale del Regno di Sardegna. E’ perciò necessario che bambini e ragazzi imparino a scrivere la loro lingua materna ma anche una lingua normalizzata come il logudorese nuorese che può rappresentare la minoranza sarda in Europa nelle situazioni ufficiali e in quelle commerciali transfrontaliere perché i nostri prodotti hanno una fetta di mercato che è sarda e non italiana. Tutto ciò, non vieta che poi chiunque utilizzi al meglio la propria lingua materna calandola nella scrittura, come è avvenuto per la scrittrice Lina Tidore Cherchi, gallurese, che ha pubblicato il romanzo Ill’anni di la guerra nella collana I quaderni della memoria (Edes). Scrive la Cherchi: «È stata la lingua sarda nella variante logudorese (quando ho insegnato nella scuola elementare di Bonorva, dove ho vissuto per oltre dieci anni) che mi ha fatto rivalutare l’importanza delle radici nell’espressione ». Dice grazie al logudorese, ma scrive in gallurese, sua lingua materna. Che rimane, al di là di ogni psicopedagogia o glottodidattica.






 

 
 
 

 

 
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